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Non siamo un Paese per assistenti civici

Gentile Direttore,
trovo l'idea degli assistenti civici una bella opportunità. Un fragile lascito della quarantena è infatti lo sguardo più attento alle attività del prossimo. Non l'abituale pettegolezzo guardone, ma un legame di corresponsabilità nel destino comune. Certo, non tutto è stato rose e fiori. C'è stato il risvolto negativo delle ronde da balcone, di chi si è fatto giustiziere contro il passante di turno. Negativo perché smosso dal rancore di chi, confinato in casa, doveva sfogarsi sull'untore di turno. Sciolti gli arresti domiciliari, questi inflessibili guardiani sono stati poi i primi a riversarsi nelle piazze, in barba al distanziamento e al divieto di assembramento. Ma c'è stato anche il risvolto bellissimo dei volontari della protezione civile e delle associazioni, che hanno messo in gioco la propria salute per aiutare i più deboli. Ci hanno portato le mascherine a casa, fatto la spesa, consegnato farmaci, hanno accompagnato i malati a curarsi, gestito gli accessi alle aree pubbliche a seguito delle prime aperture. A loro dobbiamo tanto e quanto ci mancano ora, visto che molti sono tornati al lavoro o ai loro impegni. Per questo l'idea dell'assistente civico non deve essere buttata solo a causa dell'ennesimo errore comunicativo. Non penso certo a ronde né a squadre, ed è singolare che le accuse in tal senso provengano proprio da ambienti politici che a tale distorto concetto di civismo sono più vicini. Si tratta di coinvolgere per poche ore a settimana, insufficienti a giustificare un rapporto di servizio civile, men che meno di lavoro occasionale, coloro che hanno tempo e voglia di dedicarsi al prossimo. Soprattutto giovani. Quei ragazzi e ragazze che oggi associamo solo all'irresponsabilità della movida, ma che, al contrario, in queste settimane, quando coinvolti in progetti solidali motivanti, hanno dato prova di grande solidarietà, spesso sostituendo i volontari più anziani che per sicurezza sono rimasti a casa. Ben venga dunque l'iniziativa degli assistenti civici, se figlia di queste premesse e soprattutto affidata alla rete delle amministrazioni locali, della protezione civile, del terzo settore. Diamo ai nostri giovani una ragione per rimettersi in gioco. Abbiamo tutto da guadagnare.
Marco Lombardi

Caro Marco, 

la tua lettera è intensa e profonda. Soprattutto è intrisa di un valore che si è perduto e che dobbiamo ritrovare: parlo del “civismo” dei nostri nonni (più che dei nostri padri). Un valore sacro, soprattutto per un giornale come il nostro, il giornale di Norberto Bobbio e di Galante Garrone, il giornale di quell’azionismo piemontese che in questo Paese purtroppo non è mai riuscito a diventare “di massa”. Vengo al tema che ti sta a cuore, quello degli assistenti civici proposti dal ministro Boccia per vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza e di distanziamento sociale nella fase della riapertura post-Covid. Concordo con te: l’idea in sé contiene un seme di civiltà e di solidarietà che, se ben irrigato, potrebbe germogliare. Ma questo vale in teoria. Se passiamo alla pratica, le cose cambiano. Tutto dipende dalla diversa e duplice chiave interpretativa della missione attribuita a queste nuove figure di “vigilanti volontari” della Fase Due. C’è una prima corrente di pensiero (potremmo definirla “cattivista”) che li vede come rappresentanti di una istituenda “Guardia Civile” italiana, sul modello di quella spagnola. Dunque una sorta di sceriffi disarmati, ma con funzioni tendenzialmente repressive nei confronti dei giovani reclusi per due mesi ed oggi impazienti di riprendersi la movida notturna, a costo di far ripartire la pandemia. Se queste fossero le regole di ingaggio, io sarei molto perplesso: a cosa servirebbero, se non a ricordarci la triste esperienza delle famose “ronde padane”? Una seconda corrente di pensiero (potremmo definirla “buonista”) li vede come angeli delle nostre notti metropolitane al tempo del coronavirus: bravi ragazzi, che in pettorina azzurra dicono belle parole e dispensano buoni consigli ai coetanei impegnati nell’apericena sui Navigli e nello spritz di Campo de’ Fiori. “Saranno armati solo dei loro sorrisi”, ha spiegato il ministro proponente, Francesco Boccia, in un’intervista al nostro giornale. Se le regole di ingaggio fossero queste altre, io sarei ugualmente molto perplesso: a cosa servirebbero, se non a prendersi qualche buona dose di insulti e/o di scherni? 
La verità, caro Marco, è che non siamo un Paese per “assistenti civici”. Per lo meno, non se a proporli e istituirli è lo Stato. E lo dico con profonda amarezza. E con lo stesso rammarico che trasuda dalle tue parole, quando sottolinei lo straordinario esempio dei volontari della protezione civile e dell’associazionismo, che hanno messo a repentaglio la propria salute per aiutare i più deboli, consegnando a domicilio mascherine e farmaci, generi alimentari e giornali. E quando evidenzi che si tratterebbe solo di coinvolgere per poche ore a settimana coloro che hanno voglia di dedicarsi al prossimo. Quindi senza configurare un vero e proprio “servizio civile” né una forma di “lavoro occasionale”. Tutto vero. Ma il fatto stesso che a gestire l’iniziativa debba essere lo Stato, per l’appunto, magari attingendo agli elenchi dei percettori del reddito di cittadinanza, rende immediatamente l’operazione insopportabile e impercorribile. Un po’ perché lo Stato non è capace. Un po’ perché si porta dietro pregiudizi atavici, legati all’inefficienza strutturale e alla gratuità totale dei servizi che presta. 
Non mi spiego altrimenti il perché la proposta sia stata immediatamente contestata e rapidamente archiviata. Eppure siamo l’Italia generosa, che come ricordi tu stesso ha dato grande prova di sé durante l’emergenza e che come sappiamo conta su ben 7 milioni di cittadini che ogni giorno, senza che nessuno glielo chieda o glielo imponga, fanno volontariato a tutti i livelli, aiutando i più poveri e i più bisognosi. E allora, perché questa contraddizione? Perché se i volontari civici li lancia il governo scoppia il caos, mentre se operano nel Terzo Settore battiamo le mani? La mia spiegazione è questa, come ti ripeto. In Italia fatichiamo a capire un’ovvietà: lo Stato siamo noi. Questo è ancora il Paese in cui troppi pagano le tasse “bestemmiando lo Stato”. Lo scriveva prima del 1920 Piero Gobetti. Manco a dirlo, uno dei Padri Nobili, ma inascoltati, dell’azionismo tricolore. 
 

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