“Anima cattolica, liberale, socialista collaboravano per la persona”/ Barca: “Ora no”

“Anima cattolica, liberale e socialista collaboravano per la persona”. Questo per Fabrizio Barca l’Italia ha perso ed è fonte di diseguaglianze.

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L’Italia è diventata grande anche grazie a un “patto” tra le sue diverse anime (cattolica, liberale e socialista) che collaboravano per il bene della persona: questa anima però si è smarrita e ora “la diseguaglianza è diventata ereditaria”. Lo afferma l’economista Fabrizio Barca in un saggio per il Mulino, “Un futuro più giusto”, e in una intervista alla Repubblica, aggiornato quando è scoppiata la pandemia di Coronavirus: “Ma l’impianto non è cambiato, perché il virus non ha fatto altro che sbatterci in faccia le gravi disparità che affliggono l’Italia e l’Occidente”.

Fabrizio Barca ha lavorato per diverse istituzioni italiane ed europee e fu anche ministro per la coesione territoriale sotto il governo Monti; da due anni coordina il Forum sulle diseguaglianze e diversità, da cui scaturisce il libro scritto con Patrizia Luongo, in cui alla diagnosi delle molteplici diseguaglianze s’accompagnano quindici proposte dettagliate per la ripartenza dopo il Coronavirus.

La pandemia ha evidenziato l’ingiustizia sociale che mortifica l’Italia: Barca ricorda che “un quinto della popolazione adulta – circa dieci milioni di persone – non ha risparmi sufficienti per vivere per tre mesi senza reddito” e che “ci sono sei o sette milioni di lavoratori precari o irregolari, quindi non coperti da tutela sociale”. Ecco dunque che “ci sono esplose davanti agli occhi diseguaglianze di ogni genere – dalla salute alla scuola – che non possiamo più fingere di non vedere”.

BARCA: “ITALIA HA SMARRITO L’ANIMA CATTOLICA, SOCIALISTA E LIBERALE”

Nei primi tre decenni del dopoguerra culture politiche diverse, di ispirazione socialista, cattolica e liberal-azionista, “convergevano nel difendere sia i principi dello Stato di diritto e quindi la separazione dei poteri e la libertà individuale sia i principi democratici dell’uguaglianza e della sovranità popolare. L’articolo 3 della Costituzione – che invoca la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana – è il frutto di quella formidabile convergenza”.

A partire dagli anni Ottanta, i partiti progressisti hanno ceduto il passo ai tre alibi della “globalizzazione”, della “tecnologia” e della “società liquida” non più rappresentabile, vissuti come fenomeni inevitabili rinunciando “a incalzare il capitalismo costringendolo a fare del bene”.

Il tema delle diseguaglianze tuttavia resta periferico nel dibattito pubblico, per Barca un “vuoto paradossale in un Paese che in questo campo è stato all’avanguardia” con nomi quali Vilfredo Pareto, Corrado Gini e poi Donato Menichella e Paolo Baffi, che nel 1951 produssero la prima indagine sulla distribuzione del reddito, come all’epoca solo gli americani furono capaci di fare. L’analisi economica dominante è stata però poi permeata dal pensiero neoliberista anglosassone per il quale l’impresa produce di per sé benessere: occuparsi della distribuzione del reddito non ha senso “se con la crescita tutto s’aggiusta”.

“DISEGUAGLIANZE IN ITALIA AI MASSIMI IN EUROPA”

Fabrizio Barca però non condivide questa opinione e identifica nella rabbia crescente degli italiani il segnale di un sistema che non funziona: una sfiducia radicata “che può tradursi in una deriva autoritaria”. Il Forum sulle diseguaglianze e diversità vuole colmare un vuoto, rilanciando la sintonia tra la componente liberalsocialista e l’anima cattolico-democratica.

Barca stesso riconosce a quest’ultima che “è quasi più forte il loro contributo rispetto a quello di chi viene dal mio mondo – marxista – o dalla cultura liberale. È come se ci fossimo ritrovati intorno a quell’articolo 3 della Costituzione che fu difeso dalle nostre diverse famiglie politiche”. Tra tutte le diseguaglianze, colpisce l’ingiustizia che affligge i più giovani: oggi lo status dei genitori ha un’influenza sui figli assai maggiore di quanto non fosse per le generazioni nate tra la metà degli anni Cinquanta e i Settanta del secolo scorso.

“Siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di diseguaglianza ascrivibile a fattori ereditari: svantaggi famigliari di istruzione e ricchezza si combinano nel tagliare le gambe ai ragazzi meritevoli. Anche a parità di istruzione, la differenza viene fatta dai mezzi finanziari della famiglia. Così proponiamo un’eredità universale di dodicimila euro per tutti coloro che compiono diciotto anni“, finanziata con un prelievo sui patrimoni ereditati nel corso della vita, con una progressione considerevole oltre il milione di euro.