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Alessandro Giardini

Covid, il super donatore è maceratese «Anticorpi 40 volte sopra alla media Siate disponibili, aiutate gli altri»

INTERVISTA - Il medico Alessandro Giardini ha 46 anni e ha superato la malattia. Originario di Macerata, vive a Londra. Nel suo plasma è stato trovato un eccezionale contenuto di proteine anti coronavirus. «Quando mi hanno chiesto di donare ho detto subito sì, per chi svolge la mia professione ammalarsi e non poter contribuire è come stare in panchina durante una finale. Penso si scopriranno altri casi simili al mio»

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di Alessandra Pierini

«Donare il plasma mi ha fatto sentire utile e credo sia importante che tutti quelli che possono lo facciano». A lanciare l’appello è Alessandro Giardini, 46 anni, originario di Macerata. La sua storia sta facendo il giro del mondo. Lui è il super donatore di anticorpi contro il Covid – 19. Le proteine anti coronavirus contenute nel suo plasma sono quaranta volte superiori alla media dei pazienti che sono guariti dopo il contagio. Almeno in Gran Bretagna. Giardini infatti vive a dal 2007 a Londra dove lavora come pediatra cardiologo. Lui però non si è sente affatto super, tutt’altro. Papà di due bambini, il medico ha contratto il virus e ha trascorso una settimana in terapia intensiva. Superata la crisi, è stato dimesso dopo altri sette giorni di ricovero. In questi giorni è tornato al lavoro in ospedale. La scoperta del suo “super potere” è arrivata quando il medico ha accettato di aderire ad uno studio del Centro sangue e trapianti del sistema sanitario britannico (Nhs blood and transplant). Alessandro ha  donato il suo plasma che è stato analizzato, rivelando così le sue proprietà eccezionali.

Dottore, come vive questa scoperta? «La vivo molto tranquillamente. Di certo non è una cosa sovrannaturale Per me è stato importante. Come medico, mi sono sentito completamente impotente durante questa pandemia. Sono stato tra i primi ad ammalarmi di coronavirus in Inghilterra e, bloccato a letto, mi sono sentito quasi in colpa. Nell’emergenza più grossa della mia vita, speriamo – è stato un po’ come essere in panchina per infortunio durante una finale. Quindi appena ho potuto donare il plasma l’ho fatto fatto immediatamente».

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Il dottor Giardini in terapia intensiva

Ha subito risposto “sì” quando le hanno chiesto di donare il plasma? «Quando mi hanno contattato mi hanno detto che secondo gli studi effettuati i soggetti maschi di più di 35 anni che hanno vinto il coronavirus hanno valori più alti di anticorpi. Io sono anche medico quindi il mio profilo li interessava particolarmente e io mi sono messo subito a disposizione. Capisco che non è semplice per chi, come me, ha passato settimane in ospedale, pensare di doverci tornare e di farsi prelevare il plasma con un ago che non è neanche tanto piccolo. Ma in realtà è una cosa molto semplice ed è un modo che abbiamo per aiutare gli altri».

I suoi genitori da Macerata come hanno vissuto la sua malattia?

«I miei sono praticamente in lockdown volontario da prima che iniziasse quello imposto dal governo. Quando mi sono ammalato, non avendo qui le nostre famiglie, io e mia moglie eravamo molto preoccupati per i bambini. Se anche lei fosse stata contagiata non avremmo saputo a chi lasciarli. In tutto questo mamma e papà erano tentati di raggiungerci per darci una mano. Sapere di avere un figlio in fin di vita e lontano migliaia di chilometri non è certo facile. Tutta la situazione è stata in realtà molto molto concitata»

Pensa che se fosse stato curato in Italia sarebbe stata la stessa cosa?  «Non è facile dirlo. Io qui mi sono sentito completamente al sicuro, sono stato uno dei primi ad ammalarmi quindi c’era tutto a disposizione, non ho dovuto aspettare nulla. Poi i ricoveri vanno in base alla geografia e vicino a casa mia c’è il Royal Free Hospital che si occupa specificamente di malattie infettive e nel campo rappresenta una assoluta eccellenza. Uno dei medici che mi ha seguito veniva due volte al giorno. Sono stati eccezionali, tutti, proprio tutti, medici infermieri, il personale, non potevo pensare di avere nulla di meglio. Chissà se me la sarei cavata in un altro ospedale? Non so dirlo».

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Il dottor Giardini con la famiglia

Come è stato tornare al lavoro?«Tornare a lavoro è stato molto lento, i miei colleghi me lo hanno consentito. Il coronavirus è una malattia fisica ma anche psicologica quindi anche sentire un paziente che tossisce attiva tutte le difese. Ho preso consapevolezza del fatto che rispettando tutte le accortezze  in modo metodico il rischio è molto basso. La vita comunque va avanti, il mio lavoro è questo, è la mia vita. Tornato a lavoro comunque ho notato che c’erano delle cose che si possono fare in maniera diversa, per esempio distribuire a tutti le mascherine e sto applicando quanto imparato».

Come vede il suo futuro?«Lo vedo molto molto positivo. Dopo la malattia ho perso peso, mangio meglio, sto più all’aria aperta, corro più a lungo, vado in bicicletta».

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Vista anche la forte presenza di anticorpi che ha sviluppato, ha la certezza che non sarà nuovamente contagiato? «E’ un virus nuovo e nessuno se la sente di dirmi che per un po’ posso essere al sicuro. Comunque secondo me in Lombardia troveranno molti altri casi come il mio».

Qual è il messaggio che vuole dare, anche ai maceratesi?  «Non abbassare la guardia, è importante tornare a vivere ma continuare a mettere in atto tutte  le precauzioni possibili. Compresa la mascherina che qui vedo indossare molto poco. Io credo che non la lascerò almeno fino a fine anno. Poi vorrei dire a chi ha avuto il coronavirus e l’ha avuto in modo severo che c’è per tutti la possibilità di recuperare. Io sono molto positivo, ho letto ad esempio del dottor Bruè che conosco molto bene. Sono certo che anche lui starà meglio molto presto».