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Il Coronavirus travolge il Brasile, Msf: “Colpiti anche gli indigeni, tasso di mortalità altissimo”

Vitória Ramos lavora per Medici senza Frontiere in Brasile e ha raccontato a Fanpage.it la difficile situazione che si è venuta a creare nel Paese sudamericano, secondo al mondo per numero di casi da Coronavirus: “Le comunità indigene rappresentano la nostra principale preoccupazione. Avere informazioni epidemiologiche realistiche è una sfida quasi ovunque nel mondo, e ovviamente per gli indigeni non è diverso”.

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Con i suoi 441.000 casi confermati e oltre 25mila vittime, il Brasile è al momento il secondo paese al mondo più colpito dalla pandemia di Coronavirus, dietro solo agli Stati Uniti. E le previsioni sull'andamento dei contagi non sono delle migliori. Secondo la PAHO, Pan American Health Organization, entro il prossimo mese di agosto il numero delle vittime sarà quintuplicato, superando quota 120mila, con conseguenze devastanti sull'economia, ma anche sul sistema sanitario e funerario già vicinissimi al collasso. Come succede a Manaus, capitale dello stato di Amazonas, che da solo conta 1.780 decessi per Covid-19. Qui, data la gravità della situazione, alcune organizzazioni internazionali, come Medici Senza Frontiere, stanno cercando di dare una mano alle popolazioni locali per affrontare l'epidemia. Una situazione, dunque, difficile, che Fanpage.it ha chiesto di raccontare direttamente a chi è sul campo: Vitória Ramos è il funzionario per gli affari umanitari di MSF Brasile e attualmente lavora al loro progetto Covid nello stato dell'Amazzonia.

Qual'è la reale situazione Covid in questa regione, tra le più colpite del Brasile?

"Questo territorio, che si compone di diversi Stati, è sempre stato caratterizzato da un sistema sanitario fragile, a causa della mancanza di medici e operatori sanitari, in particolare per le aree più remote. Attualmente lo stato più colpito dalla pandemia è quello di Amazonas, con oltre 36mila casi confermati e quasi duemila morti, segnando il più alto tasso di mortalità di tutto il Paese. Mentre c'è una sensazione di diminuzione dei casi a Manaus, la capitale, l'epidemia si sta diffondendo rapidamente anche altrove, nelle zone più interne. Ciò significa che la malattia sta raggiungendo luoghi con strutture sanitarie ancora più povere, mentre i pazienti sono logisticamente impossibilitati a spostarsi verso la Capitale per ricevere cure più avanzate, basti pensare solo a coloro che necessitano di ricovero in terapia intensiva. Ma significa anche che ormai il Coronavirus ha raggiunto anche le popolazioni indigene e altre comunità tradizionali, come coloro che vivono in prossimità dei fiumi, i cosiddetti ribeirinhos. Altri stati, come quello di Roraima, dove pure lavora MSF, stanno iniziando ora sperimentare la drammatica mancanza di capacità di terapia intensiva e di crisi del sistema sanitario".

Come state aiutando la popolazione locale ad affrontare l’emergenza?

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"Medici senza Frontiere ha cominciato la sua attività a Manaus lo scorso 25 aprile, con una formazione sulle misure di controllo e prevenzione per il personale sanitario. Abbiamo già lavorato in sei strutture per rifugiati e senzatetto, organizzando sessioni di promozione della salute, fornendo supporto sulle misure di igiene e prevenzione volte a contrastare e contenere il virus ed effettuando visite mediche per individuare possibili infetti. Proprio ieri, abbiamo iniziato a lavorare in un ospedale statale pubblico sempre a Manaus, il "28 de Agosto", per la gestione di 12 posti letto nel reparto di terapia intensiva e di altri 36 dedicati ai casi più lievi, in modo da supportare lo staff medico nella cura dei pazienti Covid. In collaborazione con la città, MSF sta istituendo un centro di osservazione per isolare i pazienti di Warao, popolazione indigena di origine venezuelana, con sintomi lievi, che non necessitano di essere ospedalizzati e che dovrebbe essere aperto domani. Infine, siamo anche a São Gabriel da Cachoeira, "la città più indigena del Brasile", dove collaboriamo con il comitato di crisi locale per sostenere il sistema sanitario e lo smistamento dei pazienti gravi".

In cosa consiste il vostro intervento negli ospedali locali? In che stato si trovano e cosa manca attualmente?

"In questo momento, siamo impegnati a ridurre il tasso di mortalità da Covid-19, che è all'80 per cento. Gestiremo a Manaus un reparto, grazie ad un accordo con le autorità statali e la direzione dell'ospedale, che migliorerà il flusso dei pazienti e le misure di controllo e prevenzione della malattia, fornendo l'equipe medica e la supervisione per questo reparto. Il sistema sanitario qui è stato molto danneggiato all'inizio della crisi da un alto numero di personale malate e in congedo, seppur abbiano svolto un lavoro incredibile considerate le circostanze in cui hanno dovuto operare. Inoltre, non ci sono abbastanza ventilatori e letti nei reparti di terapia intensiva per poter curare tutti".

Il vostro sostegno è arrivato anche in strutture per rifugiati e senzatetto…

"Negli ultimi anni Manaus è stata meta di migranti e rifugiati in arrivo soprattutto dal Venezuela. Ci sono molte organizzazioni umanitarie che lavorano in questo senso, soprattutto con i Warao, una popolazione indigena di origine venezuelana che vive generalmente in condizioni molto precarie. Le persone che vivono nei rifugi, come anche i senzatetto, rappresentano una sfida in più in un'epidemia come questa, a causa dell'impossibilità di mantenere il distanziamento sociale e l'isolamento. Ecco perché Medici senza Frontiere sta promuovendo il triage in diversi rifugi per indigenti, non solo a Manaus, ma anche a San Paolo, Rio de Janeiro e Boa Vista: lavoriamo per cercare di bloccare la diffusione della malattia in questi luoghi, lavorando anche con le autorità per istituire centri di osservazione e isolare le persone con sintomi sospetti o confermati che non necessitano di ricovero in ospedale".

Cosa succederebbe qui se non ci fosse l’intervento di organizzazioni come la vostra?

"La pandemia ha colpito anche paesi con sistemi sanitari molto più evoluti di quello brasiliano. In situazioni come queste generalmente le organizzazioni umanitarie come MSF possono agire rapidamente e distribuire risorse extra per il supporto nella fase acuta, oltre a fornire indicazioni tecniche su come gestirla, poiché i sistemi sono organizzati per funzionare in uno scenario ottimale, non in caso di emergenza. In un paese come il Brasile, la burocrazia e i processi amministrativi possono congelare la capacità di adattamento alla modalità di gestione dell'emergenza stessa e gli attori non governativi sono importanti per portare maggiore flessibilità e per dare una risposta basata sui bisogni delle persone e non sull'orientamento politico, con l'unico obiettivo di salvare vite".

Siete anche in contatto con i leader delle comunità indigene. Quale è il loro rapporto con l’epidemia? Può darci qualche numero attendibile che possa ben disegnarci la situazione?

"Le comunità indigene rappresentano la nostra principale preoccupazione, data la loro particolare vulnerabilità socio-economica e il fatto che vivono in aree remote, con accesso limitato all'assistenza sanitaria o in situazioni precarie in città. I loro leader si sono impegnati dall'inizio della pandemia a proteggere la propria popolazione, favorendo il loro isolamento per evitare la diffusione del virus. Avere informazioni epidemiologiche realistiche è una sfida quasi ovunque nel mondo, e ovviamente per gli indigeni non è diverso. I numeri del Ministero della Salute parlano al momento per loro di 1.119 infetti confermati e 45 decessi in tutto il paese, con il maggior numero di casi nelle regioni dello stato di Amazonas, dove è in pericolo il loro futuro".

Ci può raccontare un episodio in particolare legato alla sua esperienza con Medici senza frontiere in Brasile?

"Sono fermamente convinta del potere della promozione della salute e della prevenzione per evitare l'ampliamento una situazione terribile e complessa, come questa pandemia. Credo anche che questo lavoro debba essere costruito dal basso verso l'alto, attraverso dibattiti e incontri con la comunità. Lavorando con la comunità di Warao, ad esempio, che presenta importanti sfide culturali, ho imparato molto. All'inizio ero molto preoccupata, per esempio, su come saremmo riusciti a implementare pratiche di igiene delle mani. Poi MSF ha istituito punti di lavaggio in diversi rifugi a Manaus. Dopo una settimana, nonostante la diffidenza iniziale, ho visto una bimba di soli 4 anni lavarsi perfettamente ed era orgogliosa nel mostrarmelo. Per me quella è stata la prova che lavorare non per loro, ma con loro, è il modo migliore per superare tutte le sfide che siamo chiamati ad affrontare".