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la Repubblica

Il boss Graviano ci ripensa, non risponde al pm del processo sulla 'ndrangheta

Aveva stupito tutti, rompendo un mutismo durato più di 20 anni, ma ora è tornato a chiudersi nel silenzio

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Aveva stupito tutti, rompendo un mutismo durato più di 20 anni. Ma il boss palermitano Giuseppe Graviano è tornato a chiudersi nel silenzio. Tramite il suo legale, l'avvocato Giuseppe Aloisio, ha fatto sapere di non aver intenzione di rispondere ulteriormente alle domande di pm, parti e Corte al processo "Ndrangheta stragista", che a Reggio Calabria lo vede imputato, insieme al mammasantissima calabrese Rocco Filippone, come mandante degli attentati contro i carabinieri serviti alla 'ndrangheta per sottoscrivere la propria partecipazione alla stagione delle stragi continentali.


"Non vi è il timore di rispondere, ma vi è la consapevolezza che le sue dichiarazioni rimarranno prive di riscontro", ha detto in aula il suo legale per spiegare l'improvviso cambio di rotta del boss di Brancaccio. "Doveva essere fatto tramite alcuni collaboratori, non ultimi Mandalà e Spataro, ma su alcune domande questo non è stato permesso". Il riferimento è al pentito Totuccio Contorno, storica bestia nera di Graviano, che per il boss avrebbe avuto un ruolo nella sua caduta. "Non ci è stata data la possibilità di esplorare questi temi", ribadisce il legale. E in aula scoppia la bagarre. 

Collegato in videoconferenza, 'Madre Natura' - che fino ad una settimana fa non ha mai mancato di interloquire con la presidente - non ha proferito verbo. In silenzio ha assistito alle schermaglie fra accusa e difesa, fra presidente della Corte e avvocato. Non ha avuto niente da ridire neanche quando il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha comunicato che si riserverà di valutare se e in che misura acquisire i file audio delle conversazioni registrate in carcere fra Graviano e la sua "dama di compagnia", il camorrista Umberto Adinolfi. E dire che da mesi 'Madre natura' fa il diavolo a quattro per avere quelle registrazioni, in passato da lui definite "l'unica cosa vera di tutta l'ordinanza". Al riascolto di quegli audio, ormai mesi fa, aveva subordinato la prosecuzione del suo esame.

Ma adesso sembra aver cambiato idea. Una decisione arrivata non più di venti minuti dopo l'avviso di deposito di nuovi atti di indagine che hanno a che fare con i rapporti fra Fininvest e uno dei grandi imprenditori della galassia della famiglia Piromalli, grande mattatore nel settore di antenne e ripetitori. "Questo diventa un modo per spiegare perché una serie di collaboratori di giustizia ascoltati in questo processo abbia fatto riferimento al clan Piromalli, dunque Filippone, in relazione all'ambito imprenditoriale di antenne e ripetitori - ha spiegato in aula  il procuratore - Gli stessi ambienti imprenditoriali milanesi in cui, come ci ha detto Graviano, aveva interessi anche che la sua famiglia, tramite il nonno". Insomma, strade diverse che finiscono per incrociarsi dalle parti di Fininvest. 

Contrariamente ai mesi scorsi, quando ogni accenno ai suoi provocava una reazione, Graviano rimane in silenzio. Ascolta, ma tramite il suo avvocato fa sapere di non voler più parlare. Per mesi però, ha mandato messaggi. Con l'arroganza di chi crede di avere il boccino in mano, ha fatto intendere di sapere e poter raccontare. Ma di non avere intenzione di farlo del tutto, almeno per adesso.


Tra il dire e il non dire, ha puntato il dito contro Silvio Berlusconi, accusato di essere socio occulto e per giunta moroso della famiglia Graviano: "E deve rispettare i patti". Contro parte della procura di Palermo che negli anni Novanta lo avrebbe incastrato. Contro i misteriosi autori del "progetto di più persone per farmi arrestare", contro il pentito Totuccio Contorno e "due donne, quando faremo gli interrogatori vi dirò". Accenni, mischiati a ricostruzioni dettagliate degli incontri con Berlusconi e ostinati silenzi, come su quel figlio concepito in carcere o Marcello Dell'Utri, nominato solo una volta e per dire "anche lui fu tradito". O sulla "cortesia" che gli sarebbe stata chiesta dal padre padrone di Forza Italia. O sul reale significato di quell'espressione, "avevamo il Paese nelle mani" intercettata in carcere.


E poi minacce di rivelazioni. Sull'omicidio del poliziotto Agostino e sull'agenda rossa trafugata a Paolo Borsellino il giorno della strage di via D'Amelio. Su pezzi dell'intelligence e quegli uomini dei servizi inquadrati nel protocollo Farfalla "che a me non si sono mai avvicinati" ma che evidentemente conosce.  Sulla classe politica della stagione degli attentati continentali e "primo ministro che chiese di informarsi al riguardo a amici di Enna", lì dove si riuniva la Cupola, e per questo ha rischiato di essere eliminato da chi "voleva che le stragi continuassero". Su Berlusconi "che non era fra chi le voleva fermare" e i misteriosi imprenditori milanesi che insieme a lui avrebbero beneficiato dei soldi delle famiglie siciliane senza restituirli. Denaro servito per "Milano 3, le televisioni, Canale 5, tutto".


Tramite il suo legale di fiducia, Niccolò Ghedini, Berlusconi ha respinto le accuse. Per settimane però Graviano ha continuato ad aggiungere un dettaglio in più, un tassello in più ad ogni udienza. Messaggi su messaggi, forse destinati più all'esterno dell'aula che alla Corte e alle parti.


Un fiume in piena durato settimane e che a marzo, poco prima del lockdown, si è arrestato solo - almeno in apparenza - per una difficoltà tecnica. Un balletto durato mesi, con 'Madre Natura' che fino a questa mattina ha chiesto di ascoltare quei file per poter concludere il suo esame. Improvvisamente però, l'urgenza di "dire la verità", come più volte il boss di Brancaccio ha ribadito, sembra essersi esaurita. O forse, per la prima volta, Graviano è stato preso in contropiede.