Vento in poppa per i falchi, da Washington a Teheran

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GETTY/ANSA

Il cerchio si chiude. E sulle barche dei falchi si naviga con il vento in poppa, a Teheran come a Washington. Con gli ultraconservatori pigliatutto in Iran, in vista delle elezioni presidenziali del 2021 che metteranno in archivio l’era di Hassan Rohani e dei moderati. E con la Casa Bianca che, benché finora scarsa di risultati sul piano politico se l’obiettivo era quello di scalzare i vertici della Repubblica Islamica, ha certo ottenuto lo scopo di alzare pericolosamente e ripetutamente la tensione con Teheran. E ora passa alla fase finale dello smantellamento del nuclear deal, dopo averlo già minato con l’incertezza nel 2017 e averlo unilateralmente abbandonato nel 2018.

Stiamo parlando da una parte della vittoria degli ultraconservatori consacrata ieri dalla elezione di Mohammad Baqer Qalibaf alla presidenza del parlamento iraniano uscito dal voto del 21 febbraio – voto che ha registrato il più basso tasso di affluenza degli elettori (il 42%) nella storia della Repubblica Islamica. E dall’altra della decisione della Casa Bianca di sanzionare quelle imprese russe, cinese ed europee che, nell’ambito dell’accordo sul nucleare del 2015 (Jcpoa), hanno finora collaborato con le autorità iraniane nell’assicurare che il programma nucleare civile di Teheran resti tale, senza accelerazioni verso una dimensione militare.

Una decisione dunque in evidente contraddizione con il dichiarato intento dell’amministrazione Trump di sventare la “minaccia” di un ordigno atomico made in Iran: perché in realtà, facendo venire meno una delle condizioni per monitore dall’esterno lo sviluppo del nucleare iraniano – e dopo aver fatto cessare con le sanzioni l’incentivo economico per Teheran a rispettare il Jcpoa – potrebbe teoricamente aprire per la Repubblica Islamica proprio la strada verso l’arma atomica. Strada che d’altra parte difficilmente Teheran vorrà percorrere, benché ormai dominata dagli ultraconservatori, se non forse con qualche atto tattico e dimostrativo. Ma che offre alla Casa Bianca la possibilità di alzare i toni contro i rischi del nucleare iraniano, portando a compimento quella ricostruzione del “nemico” cui Trump ha scientificamente lavorato in questi anni.

Il paradosso delle nuove sanzioni Usa - Su pressione dei falchi più oltranzisti, il segretario di Stato Mike Pompeo ha dunque annunciato che non saranno più rinnovate le esenzioni dalle sanzioni Usa nei confronti delle compagnie russe, cinesi ed europee che operano per una riconversione dell’impianto ad acqua pesante di Arak, riconversione volta a prevenirne l’uso per produrre un’arma nucleare con il plutonio. Inoltre, la Russia non potrà più fornire uranio arricchito al 20% per il reattore di ricerca di Teheran, impiegato per le cure anticancro, né ritirare quello usato.

Le imprese hanno ora due mesi per ritirarsi e non incorrere nelle sanzioni secondarie o extraterritoriali statunitensi (le stesse che hanno finora paralizzato gli imprenditori europei). “E’ come se l’amministrazione Trump si fosse sparata al piede”, ha commentato parlando con il Washington Post Kelsey Davenport, esperto di non-proliferazione all’ Arms Control Association. Questa mossa, ha aggiunto, non fa che offrire all’Iran la giustificazione per riprendere l’arricchimento dell’uranio fino al 20%: soglia considerata critica per un’ulteriore scalata verso il 90% necessario per scopi militari, e comunque superiore a quel 3,67% concesso dal Jcpoa e a cui l’Iran si era attenuto fino al maggio 2019, un anno dopo l’uscita degli Usa dal Jcpoa.

Da allora Teheran aveva avviato un graduale allentamento del rispetto dei suoi obblighi, ma aveva deciso di lasciarsi le mani libere solo dopo l’uccisione del generale Qassem Soleimani da parte di un drone Usa – pur senza chiudere i propri siti nucleari agli ispettori dell’Aiea. 

Ora l’ultima mossa per lo smantellamento dell’accordo che Trump potrebbe compier, a ridosso delle presidenziali di novembre, è di abolire le esenzioni per le imprese che ancora operano nella centrale per la produzione di energia atomica di Busheur: passo non ancora compiuto per garantire, dichiaratamente, condizioni di sicurezza per quell’impianto. Mentre resta aperta la partita sull’embargo Onu sulle armi convenzionali, che dovrebbe decadere in ottobre, e per mantenere il quale – ma bisogna vedere se Russia e Cina glielo lasceranno fare - Washington sta provando a rimettersi addosso i panni di partner di quello stesso accordo che aveva abbandonato nel 2018.  

Qalibaf al Majlis consacra la vittoria della linea dura - Intanto l’ultima scelta della Casa Bianca, criticata dall’Alto Rappresentate per la politica stera Ue Josep Borrell, non sembra aver suscitato troppa preoccupazione a Teheran: nessun impatto reale sul nostro lavoro in campo nucleare, ha detto il portavoce dell’Agenzia atomica iraniana Behrouz Kamalvandi, secondo cui Teheran può fare, se necessario, tutto da sola, sia in assenza di forniture di uranio arricchito russe sia ad Arak.

Ma quello che per ora veramente conta a Teheran è l’elezione a stragrande maggioranza alla presidenza del Majlis di Qalibaf: un ex comandante dei Guardiani della rivoluzione (Sepah-e Padsaran), ex sindaco  di Teheran, ex capo della polizia e tre volte candidato alle presidenziali – tanto che si parla di lui come del prossimo presidente al termine del mandato, nella primavera del 2021, di Rouhani. ”Questo è il primo grande passo dei Guardiani , che stanno diventando sempre più impazienti di prendere possesso di tutti gli affari dello Stato – ha detto al Financial Times l’analista riformista Saeed Leylaz –.

Può aiutarli a vincere le prossime elezioni presidenziali e a fermare le battaglie politiche interne di riformisti e conservatori contro la linea dura, che hanno bloccato il governo del Paese”. Da forza militare che si ritiene controlli fino alla metà dell’economia iraniana, il Sepah ha visto rafforzarsi anche il suo potere politico ed ideologico proprio negli anni dell’amministrazione Trump, e avrà un ruolo determinante  per la successione di Ali Khamenei alla carica di Guida.

E di sicuro Rouhani, che non a caso ha fatto appello ad una atteggiamento di “fratellanza” da parte del Parlamento, non avrà vita più facile nei prossimi mesi di quanta ne abbia avuta in questi ultimi anni di crescenti tensioni interne e internazionali. Come non è facile da tempo quella del suo fronte di moderati e riformisti, che hanno perso molti consensi nel loro elettorato. Per risollevare le loro sorti potrebbero puntare, per le presidenziali, su un altro conservatore moderato come Ali Larijani, che ieri ha concluso un triplice mandato da presidente del Parlamento e Khamenei ha nominato consigliere.