Cosa ha fatto cambiare strategia alla Merkel

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Il piano franco-tedesco e il Recovery Plan denominato “Next Generation EU” della Commissione Europea sono stati accolti con grande entusiasmo dall’opinione pubblica europea. Naturalmente l’ultimo e decisivo passaggio istituzionale spetta al Consiglio europeo, lì dove i capi di stato e di governo nazionali decidono in ultima istanza e lì dove bisognerà convincere definitivamente tutti e 27 Stati Membri. Operazione tutt’altro che scontata.

Il piano “Next Generation EU” della Commissione è un programma molto ambizioso che è riduttivo semplificare nella formula di 500 miliardi di euro di sussidi e 250 di prestiti. Il piano è articolato in una serie di investimenti divisi per settori e aree. Si tratta di un programma su cui non solo bisognerà mediare sui dettagli ma che comunque richiederà del tempo per essere approvato e la realizzazione potrebbe anche durare due o tre anni.

La vera novità politica è la posizione della Germania che improvvisamente sembra molto meno rigida del passato. Più che di una svolta si dovrebbe parlare di una modifica di contesto rispetto al passato.

Se è certamente vero che il Governo tedesco ha legittimamente sempre difeso prima di tutto gli interessi nazionali cercando di salvaguardare, nei limiti del possibile, i contribuenti tedeschi e i titoli di Stato tedeschi è altresì vero che, diversamente dal 2008-2009, la crisi del 2020 ha cambiato sin da subito la discussione interna su temi anche molto sensibili per l’opinione pubblica tedesca come per esempio gli eurobond. In questi mesi non sono mancate prese di posizione di autorevoli esponenti dei principali partiti politici (anche di maggioranza) favorevoli a forme di mutualizzazione del debito.

Del resto, la crisi del Covid-19 e i suoi effetti economico-sociali sono certamente asimmetrici (a dispetto di quanto sostenuto dal Governo italiano), ma non si può imputare una responsabilità specifica ai governi nazionali per la crisi in corso come, ad esempio, avvenne con la crisi greca in cui, sullo sfondo delle trattative e delle discussioni, rimase sempre il rimprovero ai greci di aver falsificato i conti. Questa volta il contesto è totalmente differente.

A modificare ulteriormente il contesto generale ci ha poi pensato la sentenza del Tribunale Costituzionale tedesco del 5 maggio scorso, forse troppo prematuramente sparita delle cronache politiche italiane. Sebbene la sentenza riguardasse uno dei programmi (Public Sector Purchase Programme) in cui è articolato il Quantitative Easing, ovvero l’acquisto di titoli di debito pubblici da parte della Banca Centrale Europea, è altresì vero che la stessa sentenza ha indirettamente messo in discussione anche il “Pandemic Emergency Purchase Programme” avviato all’inizio della pandemia dalla Bce. Tuttavia, la sentenza ha permesso un chiarimento di fondo indispensabile sul ruolo e sulle competenze della Bce.

Nella crisi del 2008-09 gli Stati Membri dell’Ue lasciarono di fatto quasi esclusivamente tutto il peso della crisi alla politica monetaria dell’istituzione guidata da Mario Draghi tanto che il programma di acquisto di titoli di debito nato per essere un’azione straordinaria si prolungò nel tempo con effetti inevitabili in ambito economico, sociale e fiscale. L’abdicazione della politica e degli Stati Membri al loro ruolo lasciando appunto alla politica monetaria della Bce tutte le responsabilità non ha fatto altro che alimentare e sostenere ulteriormente le critiche e il malcontento nei confronti della stessa Bce in Germania.

Qui entra in gioco la sentenza con la quale i giudici tedeschi chiedono chiarimenti alla Bce, criticano apertamente la Corte di Giustizia dell’Ue e, soprattutto, richiamano il Parlamento e il Governo tedesco ai propri compiti e alle proprie funzioni. In questo modo si è di fatto gettata un’ombra anche sull’acquisto di titoli di debito avviato dalla Bce all’inizio della crisi epidemiologica. Un problema di cui sono ben consapevoli in Germania.

Proprio quella sentenza presentata come pietra tombale del processo di integrazione europea ha finito per avere, per ora, un effetto opposto: non è più possibile tergiversare sull’opportunità di dotare l’Ue di strumenti nuovi perché la Bce non può sostituirsi ai governi in quanto essa non ha la stessa legittimità democratica ma soprattutto non ha le stesse competenze e gli stessi poteri. É in questo senso che è cambiato radicalmente il contesto politico. In particolare all’interno della Germania si è consapevoli delle potenziali conseguenze della sentenza del Tribunale perché non c’è più margine per un’interpretazione estensiva dei Trattati e del ruolo della Bce.

L’ultimo fondamentale aspetto che ha cambiato il contesto è l’imminente Presidenza di turno dell’Ue che spetta alla Germania. Il Governo tedesco sta lavorando da tempo al semestre europeo a guida tedesca che inizierà il 1 luglio e già prima del Coronavirus Angela Merkel immaginava di contribuire al rilancio del ruolo internazionale dell’Ue. La crisi ha accelerato questo processo e ha inserito la definizione del Recovery Fund come uno dei punti fondamentali del programma.

Il triplice cambio di contesto – crisi del Covid-19, sentenza del Tribunale Costituzionale tedesco e Presidenza Ue di turno – è un’occasione storica per il Governo tedesco e la Germania per rilanciare la propria immagine e il proprio ruolo in Europa. Siamo ancora molto lontani da una vera condivisione del debito, siamo lontanissimi da un’Europa federale, non si vede ancora traccia dell’inizio di una fase costituente che possa rivedere e semplificare l’architettura istituzionale dell’Ue, ma si è compreso quanto sia importante dotare l’Ue di strumenti nuovi, di un’iniziale forma di capacità fiscale e di un bilancio più sostanzioso (sebbene ancora evidentemente insufficiente). La strada è ancora lunga, ma il Governo tedesco ha sei mesi di tempo.