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Christiane Amanpour: “Reporter donna. Abbiamo iniziato noi”

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DALL’INVIATO A NEW YORK. Quando Christiane Amanpour arrivò alla Cnn, nel 1983, pensava di aver trovato un lavoretto estivo: «Un po’ di esperienza, per poi passare ad un network vero. Invece Ted Turner aveva avuto un’idea rivoluzionaria: tutto quello che è venuto dopo, incluse le nuove piattaforme, sono solo imitazioni».

Quale idea rivoluzionaria?
«Essere costantemente informati, per promuovere la libertà. I paesi dittatoriali avevano solo televisioni di stato che facevano propaganda, e noi abbiamo rotto questo monopolio oppressivo».

La sua prima missione fu la guerra in Iraq, ma in Arabia.
«Eravamo una squadra composta solo da donne. Un’esperienza che ci cambiò la vita, anche perché contribuimmo a sconfiggere molti pregiudizi e aprire la strada a tante colleghe».

In Bosnia l’avevano accusata di essere di parte.

«Un giornalista deve essere obiettivo, dando voce a tutti, ma non neutrale, altrimenti diventa un complice. Resto convinta più che mai di questa posizione. Come fai ad essere neutrale davanti a un genocidio, o agli effetti del riscaldamento globale?».

La Cnn però ha perso audience rispetto a Fox: essere di parte è diventato indispensabile, per avere successo?
«Aborrisco la politicizzazione dell’informazione. Costringere i giornalisti in un angolo partitico è uno dei fenomeni più dannosi del nostro tempo, perché cancella la verità».

Anche la Cnn viene accusata di essere di parte, ma liberal.
«Lo so, e rifiuto questa accusa. I fatti non sono liberal, sono fatti. Noi comunque cerchiamo sempre di restare al centro».

Il presidente Trump vi accusa di essere «fake news».
«All’inizio del mandato confessò ad una collega che avrebbe sempre accusato i media di mentire, perché così la gente non avrebbe più creduto a quanto dicevamo. E’ la strategia in corso, e noi abbiamo il dovere di respingerla. Guardate cosa è successo con Twitter: appena ha iniziato a verificare i fatti, Trump l’ha attaccato con un ordine esecutivo».

Questo ha un effetto sulla democrazia?
«Rovinoso, perché la gente crede solo alla propaganda della sua parte. Ma la differenza tra verità e menzogna è la differenza tra dittatura e democrazia».

Nel 2016 la Cnn aveva coperto le presidenziali trasmettendo in diretta e senza filtro i discorsi di Trump. E’ stato un errore?
«Sì, e lo abbiamo ammesso. Faceva audience, e nessuno pensava che avrebbe vinto».

Cosa farete quest’anno?
«Non dobbiamo ripetere gli errori del 2016. Il punto di partenza sarà tornare al giornalismo, cioè indagare su quello che dicono i candidati, senza riportarlo acriticamente».

Il problema delle fake news però esiste davvero?
«Certo, legato soprattutto alla propaganda che la Russia fa in tutto il mondo. Si prepara a ripeterla nel 2020, e ha un supporto in Trump, che si rifiuta di vederla».

E’ una minaccia per l’Occidente?
«E’ in gioco il nostro sistema di vita degli ultimi 75 anni. Guardate l’Europa, con le democrazie illiberali tipo l’Ungheria. Concetti molti insidiosi, dobbiamo collaborare per sconfiggerli».