Mps, disco verde Ue alla bad bank. Via 10 miliardi di crediti deteriorati
Il via libera della Vestager alla “bad bank” di Mps riavvia il processo di ristrutturazione, step importante in vista dell'uscita del Tesoro. In borsa +15%
by Luca Spoldi e Andrea DeugeniMps, che succede? Il titolo stamane è schizzato all’insù e a metà seduta segnava un rialzo del 15,5% a 1,346 euro dopo una sospensione per eccesso di rialzo, avendo anche toccato un picco intraday di 1,369 euro per azione e raddoppia i guadagni a metà mattinata. A far ripartire le quotazioni dell’istituto senese sono le anticipazioni circa l’accordo finalmente raggiunto (un’intesa era inizialmente prevista entro febbraio) tra banca, stato italiano e Commissione Ue sul tema dello scorporo di un portafoglio di Npe (esposizioni a crediti deteriorati) da 10 miliardi di euro attraverso la creazione di una bad bank. L’operazione rappresenterà un passaggio cruciale in vista di un ritorno di Mps, al momento controllato al 68% dal Tesoro, sul mercato.
Anticipazioni confermate da Bruxelles dove la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager ha indicato di aver "dato conforto all'autorità italiane" sulla creazione di un veicolo ad hoc nel quale far confluire una parte dei crediti deterorati di Mps. "Ci sono contatti in corso, da quanto possiamo vedere non si tratta di una operazione di aiuto (pubblico) ed è stata decisa prima della crisi del coronavirus: spetta a ogni Stato decidere se notificare o meno, finora l'Italia non ha fatto una notifica", ha aggiunto la Vestager.
In pratica la banca, che di recente ha rinnovato i vertici nominando Guido Bastianini al posto di Marco Morelli quale nuovo amministratore delegato e Patrizia Grieco al posto di Stefania Bariatti quale nuova presidente, dovrebbe creare una “bad bank” interna, trasferirle circa 10 miliardi di crediti deteriorati tra sofferenze (Npl) e crediti incagliati (Utp) e cedere il tutto ad Amco del Ceo Marina Natale (l’ex Sga controllata dal Tesoro, già intervenuta pochi mesi fa per acquistare i crediti problematici di Banca Carige e delle Popolari venete).
A quel punto (il closing dovrebbe esserci entro il 2020, ma l'esecuzione potrebbe scavallare l'anno) in base ai prezzi a cui sarà avvenuto il trasferimento e alle esigenze operative, che evidentemente sono legate all’evolversi di uno scenario di mercato su cui pesa la pandemia di Covid-19, alla banca potrebbe servire un’iniezione di capitali freschi per completare la ristrutturazione.
Per valutare la bontà anche prospettica dell’operazione occorrerà conoscere i dettagli, che ancora mancano. Per ora Equita Sim segnala che se si trasferiranno, come da ipotesi ampiamente circolate in questi mesi, 9,7 miliardi di Npe (cifra che rappresenta già un “compromesso” rispetto alle indicazioni iniziali che parlavano di 12-14 miliardi) e se il prezzo medio fosse pari al 33% rispetto al nominale (media tra un 23% riconosciuto ai crediti in sofferenza e un 46% applicato ai crediti incagliati), Mps, che a fine marzo aveva a bilancio 11,6 miliardi di crediti deteriorati lordi (5,8 miliardi netti), di cui 6,26 miliardi di sofferenze (coperte al 54,5%) e 5,18 miliardi di incagli (44,3% di copertura), potrebbe poi cedere la bad bank (per la quale si stima una capitalizzazione di 1,4 miliardi da parte della banca) ad Amco vedendo così crollare dal 13,2% al 2,1% l’Npe ratio.
Perchè proprio il 33%, valore che implicherebbe valorizzare il portafoglio da cedere ad Amco 3,2 miliardi circa? Perchè per ottenere il via libera della Vestager è verosimile che il prezzo di trasferimento risulti alla fine non molto distante da quelli di mercato, che oscillano tra il 28% e il 30% a seconda della tipologia e qualità dei crediti “problematici” ceduti. Se l’operazione andasse in porto con questi numeri, il Cet1, l'indice di riferimento patrmoniale, di Mps calerebbe secondo Equita Sim attorno al 10,3%, poco sopra i requisiti minimi Srep.
A questo punto al Tesoro potrebbe convenire ricapitalizzare Mps entro fine 2021, data che resta per ora il limite entro cui occorrerà per lo meno avviare l’uscita del Tesoro dal capitale dell’istituto senese. Così facendo il governo potrebbe da un lato evitare di dover poi applicare le norme del “bail-in” (che prevederebbero un “burden sharing” con gli altri azionisti e obbligazionisti subordinati), dall’altro renderebbe Mps più appetibile nell’ottica di future aggregazioni, sia che il governo voglia farne il perno del famoso e finora fumoso “terzo polo” bancario italiano, sia che finisca col cederla a un concorrente (italiano o meno che sia).
Un aumento da 2 miliardi consentirebbe ad esempio al Cet1 di risalire al 13%, sempre secondo Equita. Gli analisti peraltro non escludono che il Tesoro possa preferire procedere più gradualmente, anche concordando con la Vestager tempi d’uscita dal capitale di Siena più lunghi.
Ipotesi quest’ultima che era stata già ventilata da Morelli e dalla Bariatti pochi mesi fa, parlando dell’opportunità di rinegoziare il piano strategico della banca in quanto gli accordi furono presi tre anni fa in un contesto macroeconomico completamente diverso dall’attuale ed in cui anche i fondamentali della banca erano differenti.
Se Bastianini e la Grieco vorranno proseguire in questo senso o cercheranno di velocizzare la costituzione e cessione della bad bank, così da recuperare parte del tempo perduto, lo si vedrà già nelle prossime settimane. Ma intanto l'ultimo scoglio su cui si era arenato il ritorno allla normalizzazione per Mps con l'uscita dell'azionista pubblico, roadmap che secondo gli accordi post-salvataggio con la Commissione dovrebbe concludersi nel 2021, è stato rimosso.