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Decreto Liquidità: norme poco precise, servono chiarimenti

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Diverse misure a sostengo del Terzo settore sono state scritte senza tenere conto delle specificità del comparto. Ecco su cosa e come intervenire in sede di conversione

Accesso al credito e misure finanziarie per il Terzo settore. Questa la richiesta emersa a gran voce subito dopo l’uscita del c.d. decreto “Liquidità” dalla cui lettura spiccava l’assenza del non profit, colpito pesantemente dall’emergenza sanitaria. Con la pubblicazione in Gazzetta del DL “Rilancio”, lo scorso 19 maggio, lo scenario cambia.

Arrivano per il Terzo settore alcune novità che tuttavia scontano ancora qualche evidente criticità legate al fatto che la maggior parte delle misure sono state pensate per realtà produttive nel senso tradizionale del termine, ovvero attività misurabili in base al calo del fatturato o dei compensi ricevuti nelle annualità 2019 e 2020. Aspetti questi che, come noto, non costituiscono necessariamente il parametro su cui misurare, invece, le realtà non profit, molte delle quali svolgono attività di interesse generale senza ricevere corrispettivi inquadrabili nel campo di applicazione dell’Iva e, quindi, fatturabili.

Ma proviamo ad andare con ordine.

Il DL Rilancio prevede poi una serie di misure di sostegno finanziario per il Terzo settore. Anche in questo caso, tuttavia, non si tratta di interventi generalizzati, ma indirizzati a specifiche categorie di enti o attività: occorrerà quindi verificare caso per caso i requisiti per l’accesso ai Fondi.

Altre disposizioni del DL Rilancio di interesse per il Terzo settore riguardano l’incremento del Fondo per i progetti di Servizio Civile (pari a 20 milioni per il 2020) e le risorse degli appositi Fondi destinati al sostegno della cultura (che prevedono, tra l’altro, uno stanziamento pari a 210 milioni su un apposito Fondo emergenza per le imprese e le istituzioni culturali e una destinazione di 50 milioni di euro per il sostegno di investimenti e altri interventi per la tutela, fruizione, valorizzazione e digitalizzazione del patrimonio culturale).

Per gli enti non profit titolari di partita IVA è da considerare anche la possibilità di accedere al contributo a fondo perduto per sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza COVID (art. 25 del DL Rilancio), che dovrà essere richiesto con apposita istanza all’Agenzia delle entrate. Come specificato dalla relazione illustrativa al decreto, infatti, il contributo potrà essere richiesto anche dagli enti non commerciali (compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi) in relazione all’attività commerciale esercitata, previa verifica delle relative condizioni in ordine al calo del fatturato.

Resta ancora da chiarire la portata applicativa delle misure di accesso al credito previste dal DL liquidità, da cui, al momento, restano ancora esclusi gli enti non profit fatta eccezione, per la misura che prevede l’utilizzo della garanzia SACE (art. 1 del DL liquidità). In questo ultimo caso il rinvio alla Raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE consente di equiparare gli enti non profit che svolgono attività economica alle piccole e medie imprese. Al netto di questo inciso resta comunque il problema legato alla necessità di intervenire dal punto di vista legislativo con norme puntuali che tengano conto delle peculiarità delle entrate del settore non profit, per le quali, come detto, non necessariamente si parla di ricavi fatturabili o di corrispettivi. Gli enti non profit a fronte dello svolgimento di attività di interesse generale, come noto, spesso ricevono risorse non già direttamente da chi è destinatario del servizio o del bene, ma attraverso contributi o erogazioni di fonte pubblica o privata. Per questo ritoccare norme scritte per realtà produttive adattandole al non profit potrebbe finire con l’ingenerare confusione, rischiando di lasciare fuori dalle misure agevolative tantissime realtà che riescono a svolgere servizi gratuitamente a favore della collettività grazie alla capacità di attrarre fondi.

Un ultimo aspetto merita di essere rilevato, se non altro perché si tratta di un tema di stretta attualità. Va segnalata, infatti, l’approvazione alla Camera dei deputati di un emendamento al Decreto Liquidità, volto ad estendere anche agli enti del Terzo settore la possibilità di accedere ai finanziamenti erogati grazie al Fondo di Garanzia per le PMI (art. 13 del D.L. 13/2020), per un importo fino a 100 milioni di euro. La misura spetterebbe, e questo va salutato con favore, anche agli enti non profit che esercitino attività commerciali (in via secondaria o prevalente). Una proposta, dunque, dagli intenti senz’altro meritevoli, che potrebbe tuttavia scontrarsi con alcuni limiti nella scrittura della norma che evidenzia ancora una volta la necessità di un raccordo tra le varie misure contenute nei testi dei decreti emergenziali quando vengono citati gli enti non profit. Si registrano infatti, troppe indicazioni non sempre uniformi tra loro che potrebbero impedire alle norme di raggiungere gli obiettivi sperati. Nel caso dell’emendamento, ad esempio, vi è stata una riformulazione che ha modificato il senso originario del testo facendo riferimento, ai fini della individuazione dei soggetti ammessi al beneficio, gli “enti del terzo settore”. Questa citazione, è bene chiarirlo, consente, almeno fino alla operatività del nuovo registro unico nazionale del terzo settore, di applicare la norma ad ONLUS, APS e ODV iscritte nei rispettivi registri, lasciando fuori, dunque, tutto il resto degli enti non profit. Orbene, di fronte ad una misura che si propone di estendere una garanzia finanziaria ad un intero settore potrebbe essere più opportuno utilizzare la definizione che compare già in altre norme “emergenziali”, ovvero richiamare “gli enti non commerciali, inclusi gli enti del terzo settore”. Ancora meglio, poi se il richiamo agli enti non commerciali contenga anche il riferimento espresso all’art. 73, comma 1 del Testo unico delle imposte sui redditi. Questo per dare una esatta collocazione sistematica alla definizione utilizzata per richiamare gli enti che “non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale”.

Un ultimo spunto, sempre prendendo le mosse dal citato emendamento, riguarda poi la condizione per accedere alla garanzia, legata, si legge, allo svolgimento di attività d’impresa e commerciali, anche “finalizzate all’autofinanziamento”. Proprio per le riflessioni svolte in precedenza sarebbe senz’altro opportuno, a questo punto, prevedere apposite risorse anche per i finanziamenti delle attività di interesse generale (a prescindere dal fatto che l’ente svolga attività economiche oppure, per fare riferimento alla qualificazione fiscale, di carattere commerciale) che non sono certo escluse dalla crisi sanitaria e rischiano così di essere tagliate fuori dal sostegno alla liquidità.


*avvocato tributarista, già coordinatore del Tavolo tecnico-fiscale per la riforma del Terzo settore presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha svolto, è membro del Consiglio Nazionale del Terzo settore e del comitato di gestione della Fondazione Italia Sociale.