«Il cognato di Polverino va ucciso», il pentito parla del ‘piano di morte’
by Stefano Di BitontoUn agguato eclatante. Per far capire a tutti che il vento era cambiato e che la vecchia guardia non esisteva più. Sono queste le motivazioni dietro l’agguato costato il ferimento di Vincenzo Marchesano, cognato del boss Giuseppe Polverino, episodio raccontato agli inquirenti dal pentito Gianluca Noto contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare che tre giorni fa ha inferto un altro duro colpo alla camorra di Marano svelando i retroscena dei rapporti tra Polverino e Orlando e le tensioni dei due gruppi fino alla ‘pax camorristica’ dell’agosto del 2015. Un percorso a cui si arrivò dopo tante frizioni. Alcune culminate in episodi eclatanti come appunto l’agguato a Marchesano. Quest’ultimo è indicato dal gip Ciollaro come “espressione apicale del clan di Marano”. Secondo la ricostruzione Marchesano era tra i più agguerriti nell’impedire l’avanzata degli Orlando e dopo un pestaggio subito dal figlio ad opera dei ‘Carrisi’, esplose dei colpi di pistola contro un bar frequentato proprio dagli Orlando. La risposta di quest’ultimi non si fece attendere.
Il racconto del pentito: l’agguato al cognato di Polverino
A raccontarlo è Gianluca Noto, ex affiliato del clan D’Ausilio che ha svelato nei dettagli ‘il piano di morte’, piano poi abortito con Marchesano gambizzato dai rivali: «Angioletto (Angelo Orlando ndr) raccontò che Marchesano aveva sfidato i Lubrano e i Nuvoletta e lo voleva uccidere a tutti i costi. Angioletto ci disse che loro ormai comandavano, gli Orlando-Nuvoletta-Lubrano, si erano presi l’impegno di mantenere anche i carcerati dei Polverino e che l’accordo era stato fatto tramite tale Simeoli che io non conosco. Marchesano si era comportato male, addirittura sparando in presenza di alcuni ragazzi loro e occorreva vendicarli. Angioletto mi precisè che questo Michele era tollerato in quanto parente dei Polverino. Noi avremmo dovuto fermare i camion di Marchesano, che ha un ingrosso e riforniva al dettaglio, avremmo dovuto sequestrarlo e poi chiamare Angioletto. La stessa imbasciata fatta alla Sanità e a Pozzuoli ad altri referenti».
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