Emergenza virus e fame, Bolsonaro rischia l'impeachment

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Andressa Anholete via Getty Images

Nei paesi dell’America Latina l’attuale pandemia potrebbe avere un impatto devastante anche sul piano alimentare, precipitando circa 14 milioni nella penuria alimentare e nella fame. Queste sono le previsioni fatte ieri dal World Food Programme (WFP) l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare. 

Il WFP definisce urgente “un piano di assistenza alimentare al crescente numero di persone vulnerabili nella regione, come a coloro che dipendono da un lavoro informale”, che nei paesi latinoamericani costituisce la stragrande maggioranza della popolazione. Ciò al fine di evitare che “la pandemia di Covid-19 si trasformi in una pandemia di fame”.

La crisi spingerà circa 10 milioni di persone in una situazione di maggior povertà in undici paesi dell’area che andrebbero ad aggiungersi ai poco meno di quattro milioni di individui che lo scorso anno vivevano già in una situazione di insicurezza alimentare grave. Secondo i dati più recenti, l’America Latina si è trasformata nel nuovo epicentro dell’espansione del coronavirus e già registra il 40% dei decessi che ogni giorno accadono nel mondo.

Paesi come Brasile, Messico, Perù e Cile sono quelli che hanno si sono visti maggiormente colpiti negli ultimi giorni e dove le curve dei contagi e delle morti continuano ad ascendere. Mentre sul piano economico le stime del CEPAL prevedono un crollo del 5,3% medio per l’anno in corso.

Un recente studio dell’Università di Washington calcola che i morti in Brasile potrebbero raggiungere in agosto la cifra di 125.000 e suggerisce al governo di Jair Bolsonaro di adottare gli esempi di Wuhan, dell’Italia e della Spagna. Ieri nel paese si sono registrate 26.417 nuove infezioni nelle ultime 24 ore, portando il totale dei contagi alla cifra di 438.238 secondo i dati del Ministero della Salute. Il bilancio diario dei morti è stato di 1156 per un totale provvisorio di 26.754. 

Questi dati fanno del Brasile il secondo paese al mondo con più contagi dopo gli Stati Uniti, ma quello in cui si registrano i più alti numeri di contagi giornalieri. Sulla scarsa considerazione della pericolosità del virus del presidente Bolsonaro e sulla sua definizione del virus “febbriciattola” molto è stato scritto.

Un atteggiamento che gli è valso il sostegno entusiastico dei suoi fans, ma anche l’abbandono di due ministri della Salute, entrati in conflitto con le volontà presidenziali relativamente alla lotta al coronavirus, oltre allo scontro diretto con molti governatori di stati e sindaci di grandi città in disaccordo sulla linea scelta a livello centrale.

Se Bolsonaro può continuare a contare su uno zoccolo duro di simpatizzanti pari a circa il 33% dell’elettorato, ieri un sondaggio dell’istituto Datafolha fa conoscere che il tasso di totale rifiuto nei suoi confronti è asceso al 43%, confermando un trend al ribasso del suo gradimento iniziato già all’indomani del suo insediamento nel 2019. Con questi dati Bolsonaro è il presidente meno amato dal ritorno della democrazia nel 1985. Se ancora non bastasse, a tutto ciò corrisponde la diminuzione di quelli che considerano “regolare” il suo operato che è passato da un 32% all’inizio del suo governo, al 22% questa settimana. 

Nelle scorse settimane Bolsonaro ha dovuto affrontare non pochi problemi, e non solo il cambio di due ministri della Salute. Forse il problema più grosso per lui è stato l’esser entrato in rota di collisione con il suo ministro della giustizia Sérgio Moro, l’ex magistrato che aveva fatto condannare Lula, molto più popolare in Brasile dello stesso presidente, che si è dimesso.

La vicenda è nota e riguarda la volontà di Bolsonaro di sostituire il capo della polizia in contrasto con Moro, perché voleva indagare su un scandalo in cui è coinvolto uno dei figli del presidente. Esiste pure un video che sembra inchiodare Bolsonaro, e che potrà essere usato contro di lui in un possibile processo di impeachment di cui sempre più ricorrentemente si parla in Brasile.

La Corte Suprema ha avviato un’indagine sulle accuse mosse da Moro, che potrebbe corroborare le numerose richieste presentate da deputati che chiedono l’apertura di un processo che porti alla destituzione del presidente. 

Privo di una sua maggioranza politica al parlamento, con le sempre più numerose di perdite di pezzi del governo che ha cercato di sostituire con esponenti dell’ambiente militare, in caduta libera nel gradimento, sono in molti in Brasile a pensare che Bolsonaro non arriverà alla fine del suo mandato.

Quando è stato eletto, ha potuto contare sul voto del suo zoccolo duro, al quale si è aggiunto quello di coloro che non volevano a tutti i costi una sinistra ancora al governo. Dal gennaio del 2019 in poi Jair è andato perdendo il sostegno dei secondi, ed ha dovuto coinvolgere sempre più le forze armate. Ora, dai risultati disastrosi dell’azione politica del presidente, esse potrebbero vedere la loro immagine compromessa ed avere un interesse a che abbandoni il potere.

Per questo, notano molti osservatori, nel paese si parla di sua messa in stato di accusa per costringerlo alle dimissioni. Una cosa che non sarebbe nemmeno una novità nella storia recente del Brasile. Basterebbe citare il caso ultimo di Dilma Rousseff, pure lei senza maggioranza parlamentare, sostituita dal vice Michel Temer. Un passaggio che dovrebbe comunque avvenire appena dopo lo scadere dei due anni di mandato di Bolsonaro dato che la legge brasiliana prevede il ritorno alle urne se le dimissioni avvengono prima, e la sostituzione con il vice, se il presidente si dimette nella seconda metà del suo mandato.

Se si ricorda che l’attuale vice presidente è Antônio Hamilton Martins Mourão, un generale, forse si capisce come i poteri forti che governano il Brasile, e tra di essi le forze armate che non sembrano comunque tentate da un’assunzione diretta del potere, potrebbero aver interesse ad attendere i primi mesi del prossimo anno.