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Il mio star bene è il tuo, e il tuo è il mio!

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Cosa stiamo apprendendo a livello relazionale in questo periodo difficile determinato dal coronavirus? Ci vorrà del tempo per analizzare la complessità di quello che stiamo vivendo, ma alcuni aspetti sono già evidenti. Ad esempio che possiamo essere più sensibili, più attenti, più rispettosi delle fragilità altrui e delle nostre. Sono due concetti interdipendenti. Confrontarsi con la vulnerabilità degli altri presuppone che noi siamo sufficientemente riconciliati con la nostra vulnerabilità.

Ci aiuta a seguire questa prospettiva il saggio Welfarevirus © Erickson (ebook - epub2), sviluppato a partire da un ciclo di lezioni di Metodologia del Lavoro sociale che il professor Fabio Folgheraiter ha preparato nelle settimane di didattica a distanza per mantenere un contatto con i suoi studenti dei corsi di Laurea in Servizio sociale dell’Università Cattolica di Milano. Da sempre fautore della reciprocità e dell’«auto-mutuo aiuto», l’aiuto relazionale per eccellenza, Folgheraiter riflette su tali concetti alla luce della crisi attuale determinata dalla pandemia. Il capitolo 8 ha un titolo significativo “Il mio star bene è il tuo, anzi il tuo è il mio!”.

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«Come noto, l’idea della reciprocità è racchiusa nella famosa espressione biblica “non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te” - scrive Folgheraiter -. Se la maggioranza delle persone in una località (o in un gruppo o in una famiglia) rispetta tale regola, allora gli screzi tra le diverse personalità si riducono entro soglie accettabili. In quella località fortunata, il contagio dell’aggressività e del reciproco menefreghismo (un virus «sociologico» di cui ancora manca il vaccino) ha già raggiunto l’auspicata… immunità di gregge».

«L’equilibrio relazionale non vale solo per l’agire morale - continua Folgheraiter -. Vale anche nella sfera soggettiva del puro sentimento. Presso gli antichi romani all’inizio delle lettere di corrispondenza, come racconta Seneca, si usava scrivere: “Se sei in buona salute, anch’io sono in buona salute”. La mia salute, quale che essa sia davvero, me la sento uguale alla salute tua. E se tu ricambi questo sentimento, apprezzeremo soggettivamente nei nostri corpi lo stesso identico grado di benessere. Ci sentiremo di star bene assieme. Il grado oggettivo di salute non ha importanza misurarlo. È assorbito in un empireo più alto: nel senso del vivere assieme».

Partendo da queste premesse, Folgheraiter aggiunge: «Nella vicenda del coronavirus troviamo, in piccolo, un’eco di questi principi così importanti per il welfare. L’uso della mascherina filtrante per proteggerci dai nostri reciproci starnuti, ad esempio, è illuminante. Per quale ragione (sempre che la troviamo in commercio, beninteso) io vado in giro con quella orribile cosa, che oltretutto stringe da tutte le parti? Metto la mascherina per me, per non infettarmi? Sì, lo faccio perché ho premura per me, perché sono responsabile della mia salute. Oppure: metto la protezione per rispettare gli altri, perché mi sento responsabile della salute altrui? Mi preoccupo che, qualora sia io malauguratamente ad essere infetto, un altro innocente non si ammali a causa mia? Sì, lo faccio anche per questo. Volente o nolente, consapevole o meno, il pensiero della mia salute aiuta quella di tutti gli altri, così come il pensiero per la salute degli altri aiuta la mia».

Forse è troppo presto o troppo semplicistico dire che da questa pandemia usciremo migliori. Per affinare la propria sensibilità è necessario un importante lavoro su se stessi, un andare oltre l’individualismo abbracciando un cambio di prospettiva radicale, acquistando consapevolezza della mutua interdipendenza, di come la nostra vita sia intessuta della vita di persone a cui forse non abbiamo mai prestato attenzione e che nel difficile periodo dell’emergenza si sono rivelate essenziali per la nostra sopravvivenza. E comprendere come anche noi, finanche senza saperlo o volerlo, siamo parte non marginale della vita degli altri.

Scheda libro: www.erickson.it/it/welfarevirus

Il ricavato dalle vendite del libro sarà interamente devoluto all’Ospedale “Sacco” di Milano.