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Ignazio Visco, governatore di Banca d'Italia (LaPresse)

È dura, ma il rimbalzo è possibile. La frustata di Ignazio Visco

Colmare i ritardi, superare i vincoli e ricordare i punti di forza della nostra economia. "Ce la faremo con scelte mature, consapevoli, guardando lontano". Parla il governatore di Banca d'Italia

"Stiamo attraversando la più grande crisi sanitaria ed economica della storia recente", scrive nelle 'Considerazioni Finali' Ignazio Visco. É un messaggio di realismo e speranza quello lanciato dal governatore della Banca d’Italia in streaming in occasione della Relazione annuale di via Nazionale. "Da noi, come in molti altri paesi, medici e infermieri hanno dovuto sostenere una pressione senza precedenti. Grazie al loro impegno, prestato in condizioni difficilissime, si sono scongiurate conseguenze ancora peggiori. Ai molti che in questo sforzo sono stati colpiti, alle vittime tutte di questa tragedia, ai loro familiari va il nostro primo pensiero. La risposta delle politiche economiche, in Italia come nel resto del mondo, ha anzitutto mirato a governare l’emergenza sanitaria e a contenere la diffusione del virus anche con drastici provvedimenti di chiusura. Interventi di bilancio di dimensioni straordinarie hanno portato sollievo a famiglie e imprese colpite nel lavoro, nella produzione, nel reddito. Se non frenata da tali misure, e da quelle, pure ingenti e tempestive, di politica monetaria, una crisi così profonda avrebbe avuto ripercussioni ancora più dolorose sul tessuto produttivo e sulla società tutta. Ma come il “distanziamento sociale” appiattisce la curva dei contagi senza eliminare il virus, così le misure di sostegno contribuiscono a diluire nel tempo e ad attutire le conseguenze della crisi senza eliminarne le cause.

L’incertezza oggi è forte; riguarda non solo l’evoluzione della pandemia ma anche gli effetti sui nostri comportamenti, sulle abitudini di consumo, sulle decisioni di risparmio. Ci si chiede quali nuovi bisogni si affermeranno e quali consuetudini saranno definitivamente superate. E ci si interroga sulle possibili conseguenze, oltre il breve periodo, per l’organizzazione della società e dell’attività produttiva. Nei prossimi mesi il recupero della domanda avverrà con lentezza. Bisognerà evitare comportamenti imprudenti e mantenere alta l’attenzione per evitare che tornino a salire le probabilità di contagio. Il sistema produttivo dovrà garantire condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro e far fronte a cambiamenti nelle catene globali del valore; l’offerta sarà riqualificata per soddisfare le mutate esigenze della clientela; saranno rivisti i programmi di investimento.

Durante questa transizione potrà ridursi l’occupazione e potranno protrarsi le situazioni di sospensione dal lavoro; ne saranno frenati i consumi, che risentiranno anche del possibile aumento del risparmio precauzionale dovuto ai timori sulle prospettive, non solo economiche. Potrà crescere il disagio sociale; le misure di bilancio mirano a contenerlo. Con il dissiparsi della pandemia potremo ritrovarci in un mondo diverso. Se intuiamo, in modo impreciso, e contrastiamo, con forza, la gravità delle conseguenze sociali ed economiche nel breve periodo, per quelle a più lungo termine possiamo solo riconoscere di “sapere di non sapere”.

È molto difficile prefigurare quali saranno i nuovi “equilibri” o la nuova “normalità” che si andranno determinando, posto che sia possibile parlare di equilibri e normalità. Per affrontare tanta incertezza è però cruciale, oggi ancora più di prima, che siano rapidamente colmati i ritardi e superati i vincoli già identificati da tempo. Oggi più di prima, perché una cosa è sicura: finita la pandemia avremo livelli di debito pubblico e privato molto più alti e un aumento delle disuguaglianze, non solo di natura economica. Solo consolidando le basi da cui ripartire sarà possibile superare con successo le sfide che dovremo affrontare. Lo sconvolgimento causato dalla pandemia ha natura diversa da quello di una guerra mondiale ed è arduo confrontarne gli effetti. Possiamo partire però da un pensiero maturato proprio immaginando come si sarebbe potuto gestire una grande guerra.

Ottant’anni fa John Maynard Keynes scriveva: “… la migliore garanzia di una conclusione rapida è un piano che consenta di resistere a lungo … un piano concepito in uno spirito di giustizia sociale, un piano che utilizzi un periodo di sacrifici generali” – verrebbe da dire, come quelli di questi nostri giorni – “non come giustificazione per rinviare riforme desiderabili, ma come un’occasione per procedere più avanti di quanto si sia fatto finora verso una riduzione delle disuguaglianze”. Sarà essenziale mettere bene a frutto le risorse mobilitate per superare le difficoltà più gravi, predisporre, da subito, le condizioni per il recupero di quanto si è perso, usare bene il progresso tecnologico per tornare a uno sviluppo più equilibrato e sostenibile, che generi occupazione e consenta anche di ridurre, con la necessaria gradualità ma senza timori, il peso del debito pubblico sull’economia.

Ricordiamo i punti di forza della nostra economia. Nonostante i ritardi e le difficoltà, in particolare sul piano territoriale, negli ultimi mesi le infrastrutture di rete hanno tenuto, consentendo a centinaia di migliaia di lavoratori di continuare a operare da remoto; il settore manifatturiero è flessibile e, dopo la crisi dei debiti sovrani, ha rapidamente recuperato competitività, portando in avanzo la bilancia dei pagamenti; il debito netto con l’estero è pressoché nullo; la ricchezza reale e finanziaria delle famiglie è in complesso elevata e il loro debito è tra i più bassi nei paesi avanzati; quello delle imprese è inferiore alla media europea; il sistema finanziario, rafforzato nonostante la doppia recessione, è in condizioni decisamente migliori di quelle in cui si trovava alla vigilia della crisi finanziaria globale.

Vi sono però investimenti dai quali non possiamo prescindere, in particolare quelli rivolti all’innovazione nelle attività produttive e al miglioramento dell’ambiente, investimenti che vanno sempre più tra loro integrati. Un contesto favorevole all’attività d’impresa richiede interventi risoluti, rapidi e ad ampio spettro per innalzare in modo sostanziale la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici. E va ribadita, se possibile oggi ancora di più, l’importanza di quelli volti ad accrescere i livelli di cultura e di conoscenza, dalla scuola all’università così come nella ricerca. Un ambiente economico rinnovato potrà dare frutti se tutti i protagonisti che lo animano − le imprese e le famiglie, chi studia e chi lavora, gli intermediari finanziari e i risparmiatori − sapranno assumere la piena responsabilità del proprio ruolo.

Ma non si tratta solo di economia. Se le trasformazioni che l’economia, la società, la politica, la cultura subiranno sono incerte, vi saranno certamente interazioni e reciproche influenze. Bisognerà riconoscere e essere aperti a molteplici punti di vista, interessi, esigenze; servirà un confronto ordinato e un dialogo costruttivo tra chi ha competenze diverse, così come tra coloro che hanno responsabilità distinte ma non per questo tra loro indipendenti e distanti. Serve un nuovo rapporto tra Governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile; possiamo non chiamarlo, come pure è stato suggerito, bisogno di un nuovo “contratto sociale”, ma anche in questa prospettiva serve procedere a un confronto ordinato e dar vita a un dialogo costruttivo. Un nuovo rapporto è indispensabile anche in Europa. Ogni paese deve utilizzare le risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee con pragmatismo, trasparenza e, soprattutto, in maniera efficiente.

I fondi europei non potranno mai essere “gratuiti”: il debito europeo è debito di tutti e l’Italia contribuirà sempre in misura importante al finanziamento delle iniziative comunitarie, perché è la terza economia dell’Unione. Ma un’azione comune, forte e coordinata potrà proteggere e contribuire a rilanciare la capacità produttiva e l’occupazione in tutta l’economia europea. L’importanza della recente proposta della Commissione non sta nella sostituzione di un prestito con un trasferimento, ma nell’assunzione collettiva di responsabilità per il finanziamento della ripresa: sarebbe il primo passo verso un’unione di bilancio e il completamento del disegno europeo. Abbracciare con convinzione questa idea, per disegnarla compiutamente e pianificarne l’attuazione, è una necessità non derogabile.

Un impegno unitario è nell’interesse di tutti: le drammatiche circostanze di oggi rafforzano le ragioni dello stare insieme, spingono a perseguire un progetto che mobiliti risorse a sostegno di una crescita inclusiva e sostenibile. Oggi da più parti si dice: “insieme ce la faremo”.

Lo diciamo anche noi: ma purché non sia detto solo con ottimismo retorico, bensì per assumere collettivamente un impegno concreto. Ce la faremo con scelte mature, consapevoli, guardando lontano. Ce la faremo partendo dai punti di forza di cui qualche volta ci scordiamo; affrontando finalmente le debolezze che qualche volta non vogliamo vedere. Molti hanno perso la vita, molti piangono i loro cari, molti temono per il proprio lavoro. Nessuno deve perdere la speranza