Quando Mario Draghi disse no a Mario Monti

Su Huffpost un estratto del libro "L'enigma Draghi". Marco Cecchini racconta di un episodio avvenuto a inizio 2012 in piena crisi spread

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Horacio Villalobos via Getty Images
SINTRA, PORTUGAL - JUNE 18: European Central Bank President Mario Draghi arrives to participate in the afternoon discussion session during the second day of the 2019 ECB Forum on Central Banking, on June 18, 2019 in Sintra, Portugal. The ECB Forum on Central Banking 2019 is devoted this year to 20 Years of European Economic and Monetary Union. (Photo by Horacio Villalobos#Corbis/Corbis via Getty Images)

 

Pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Marco Cecchini, “L’enigma Draghi”, incentrato sulla figura dell’ex presidente della Bce, edito da Fazi Editore e in libreria dal 28 maggio. 

 Monti e Draghi si sono visti segretamente tre volte in questo periodo, la più importante delle quali a Roma, a Villa Hüffer, un bell’edificio neoclassico di proprietà della Banca d’Italia che ricorda più una villa parigina che una residenza romana. A questo incontro erano presenti anche il governatore Ignazio Visco, il direttore generale di via Nazionale Fabrizio Saccomanni e l’allora viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli. Era la fine dell’inverno. Lo spread continuava a dare segnali contrastanti. Da tempo la banca centrale italiana, nell’ambito del suo ruolo di consulente istituzionale del governo, stava lavorando alla creazione di quello che Saccomanni definiva uno «scudo antispread», ovvero un piano europeo di stabilizzazione dei mercati che prevedeva, una volta raggiunto un certo livello del differenziale dei tassi, l’acquisto automatico di titoli di quei paesi in difficoltà ma in linea con le raccomandazioni della Commissione, i paesi in altre parole che facevano i «compiti a casa», secondo la famosa locuzione usata da Helmut Kohl ai tempi della corsa verso l’euro. Nella sala riunioni al primo piano di Villa Hüffer, dopo l’esposizione di Saccomanni, tutti guardano Draghi per capire cosa ne pensa. Draghi non mostra alcun imbarazzo o difficoltà nel dire quello che sta per dire. Si trova in un ambiente familiare. Esercita tuttora una grande influenza sugli orientamenti di via Nazionale, è rispettato e temuto, è a casa sua. La sua reazione al piano è liquidatoria. Dopo avere espresso parole di apprezzamento sui propositi riguardanti le riforme interne, il presidente della BCE va subito alla questione dello scudo: «Gli uffici legali della Banca non l’approverebbero mai. I giuristi tedeschi si opporrebbero». Autorevoli fonti istituzionali riferiscono anche che Draghi colse l’occasione per far sapere che questa collaborazione tra la banca centrale italiana e il governo non era opportuna. Il messaggio inequivocabile era semplice: «Lasciate perdere». Settimane di lavoro vanno alle ortiche. La tempistica di questo incontro, conclusosi in un nulla di fatto, non era casuale. A inizio marzo la maggioranza dei paesi europei aveva approvato il Fiscal Compact: mancava l’avallo dei Parlamenti è vero, ma tutto autorizzava a pensare che il banchiere centrale europeo potesse ritenersi un po’ più sicuro, visto che era stato firmato un accordo gradito ai falchi tedeschi oltre che a lui stesso. Proprio perciò quel giorno gli uomini della Banca d’Italia, del Tesoro e lo stesso Monti, tutti espressione dello stesso milieu culturale di Draghi e a lui legati da antichi rapporti, escono da Villa Hüffer sconcertati dalla chiusura senza appello frapposta al loro piano. Visco e Saccomanni tornano silenziosi a Palazzo Koch, poche decine di metri di fronte. Monti e Grilli si infilano nelle loro auto blu. Il primo, tuttavia, incoraggia tutti a non demordere.

Nelle settimane successive all’incontro di Villa Hüffer, il premier italiano e Draghi continueranno a lavorare, ciascuno nel suo ruolo, per creare le condizioni di un’uscita dall’impasse europeo. Intanto gli spread dei
paesi in difficoltà non cessano di oscillare tra rapide discese e altrettanto veloci risalite, mantenendosi complessivamente su livelli alti, mentre l’economia europea sprofonda nella seconda recessione in pochi anni. La
soluzione della crisi sembra ancora lontana e ciò acuisce i timori degli investitori per un crollo dell’intero sistema della moneta unica. Oltretutto, l’immissione di liquidità per un trilione di euro nel mercato attraverso il
meccanismo di LTRO aveva fornito una momentanea e provvidenziale boccata d’ossigeno alle banche, ma al prezzo di aprire la prima vera frattura tra il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e Draghi, nel momento in cui l’azione richiederebbe unità. Weidmann infatti aveva preso carta e penna e aveva scritto una lettera al presidente della BCE, manifestando
forte preoccupazione per l’aumento della liquidità e la crescente divaricazione nei saldi Target 2, il sistema contabile che registra le posizioni debitorie e creditorie tra le banche centrali dell’euro, dove il saldo attivo della
Bundesbank aveva raggiunto i cinquecento miliardi. Agli Spring Meetings del Fondo Monetario in aprile, il governatore tedesco aveva poi inviato un messaggio preciso al presidente della BCE: «I problemi dell’Europa
non si possono risolvere con misure di politica monetaria», aveva detto pubblicamente. Nei mesi precedenti all’estate del 2012, l’Europa sembrava una nave senza rotta in un mare tempestoso. Gli europei si apprestavano a partire per le vacanze, ma non sapevano che i loro paesi danzavano sull’orlo di un burrone
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Fazi Editore
"L'Enigma Draghi" di Marco Cecchini