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L'Europa mette i paletti: "Aiuti erogati a rate e solo a chi fa le riforme"

Monitoraggio sui Recovery fund. Italia verso un surplus, ma scoglio dei Paesi "rigoristi"

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Fra i tanti aspetti ancora da chiarire, a cominciare da quale sarà il contributo dei singoli Stati membri, il Recovery Fund da 750 miliardi di euro plasmato dalla Commissione europea ha già un caposaldo scolpito nella pietra: se vuoi i quattrini, devi fare le riforme. E portarle a termine. Per prudenza, Bruxelles verserà i fondi a tranche, erogando le rate successive in base agli obiettivi raggiunti. Ritardi o cedimenti non saranno ammessi, pena la chiusura del rubinetto degli aiuti. Se gli Stati membri non rispettano «le priorità stabilite dall'Ue» e «non implementano gli obiettivi, perdono i soldi di una rata», ha spiegato il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis. Ciò implica una sorta di sorveglianza, anche se il commissario all'Economia Paolo Gentiloni ha escluso modalità alla greca e possibili condizionamenti nelle scelte nazionali: «Non si tratta di uno strumento di salvataggio con le condizionalità connesse: vi si accede su base volontaria, a disposizione di tutti, gli Stati possono presentare i loro programmi di cui sono responsabili e il sostegno Ue è legato all'attuazione degli impegni». Il ruolino di marcia consigliato dalla Commissione prevede la presentazione di un piano nazionale di investimenti ad aprile, o al più tardi a ottobre con la bozza del programma di stabilità.

Il capitolo dei tempi di erogazione dei fondi è invece ancora da scrivere. Lo stanziamento-tampone per il 2020 da poco più di 11 miliardi è un brodino neppure corroborante viste le esigenze di Paesi come Italia e Spagna. Se la torta appare allettante, soprattutto nella fetta da 500 miliardi relativa alle sovvenzioni, il «no» di Austria, Olanda, Danimarca e Svezia rischia di ritardare l'approvazione del Next Generation Ue. Gentiloni ha chiarito che «data l'ovvia necessità di distribuire questi fondi il più rapidamente possibile, la nostra proposta specifica è che almeno il 60% della sovvenzione dovrebbe essere impegnato legalmente entro la fine del 2022, mentre il resto entro la fine del 2024. Il sostegno ai prestiti dovrebbe essere richiesto dalla fine del 2024 al più tardi». E qui entra in ballo l'intesa, non ancora alle viste, sul bilancio europeo per stabilire la contribuzione dei Paesi membri. Già in autunno, prima della discussione sugli aiuti-Covid, le trattative si erano arenate sull'ammontare delle contribuzioni. L'inserimento di una fetta così grande di grant (risorse a fondo perduto) nel Recovery Fund e la richiesta di un maggior sforzo finanziario a chi riceverà aiuti in proporzione inferiore a quanto sborsato, rischiano di creare altre spaccature. Resta da vedere se i Paesi rigoristi mitigheranno l'egoismo: se si impuntassero, Italia, Francia e Spagna potrebbero far pressione per eliminare gli sconti (rebates) sui contributi nazionali di cui proprio i Frugal Four beneficiano. Altro aspetto da valutare è quale quota delle sovvenzioni copriranno le tasse proposte da Ursula von der Leyen, che ieri ha avuto un colloquio telefonico con Giuseppe Conte. Nella migliore delle ipotesi, il nostro Paese potrebbe dopo anni godere di un saldo netto fra versamenti al bilancio Ue, finora pari al 12% del totale (in media 5,2 miliardi l'anno dal 2012 al 2018), e quattrini ricevuti grazie ai previsti 172 miliardi d'incasso, di cui 82 come sussidi. Dalla stima degli sherpa Ue, basata però su fondi pari a 153 miliardi per l'Italia a fronte di una contribuzione di 96, il suplus sarebbe di 57 miliardi.