Sul fronte del coronavirus in un campo profughi in Kenya
Sul fronte del coronavirus in un campo profughi in Kenya
Sul fronte del coronavirus in un campo profughi in Kenya
Per più di dieci anni Kanere, il primo giornale indipendente al mondo nato in un campo profughi, ha superato molte difficoltà per raccontare la vita all’interno del campo di Kakuma, nel nordovest del Kenya. “Ora che nel vasto insediamento è stato registrato il primo caso di covid-19, la pubblicazione deve affrontare la sua sfida più grande”, scrive Ruairi Casey in un articolo su Al Jazeera.
Circa 200mila persone vivono nel campo di Kakuma, uno dei più grandi al mondo, allestito nel 1992 e gestito dall’Unhcr, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati. Le condizioni di vita precarie e il sovraffollamento rendono il distanziamento fisico e il rispetto delle norme igieniche quasi impossibili da rispettare. L’acqua è fornita attraverso delle pompe pubbliche e in tutto il campo c’è un solo ospedale, dove lavorano cinque medici.
Per questo negli ultimi due mesi i dieci giornalisti della redazione di Kanere hanno pubblicato informazioni e aggiornamenti sui social network e sul giornale distribuito nel campo per sensibilizzare gli abitanti sulle regole di sicurezza da rispettare per evitare la diffusione del nuovo coronavirus. Inoltre hanno cercato di contrastare le notizie false che circolano a proposito del virus, per esempio che si possa curare bevendo una tisana o che colpisce solo alcune persone.
Ma il 25 maggio un uomo rientrato nel campo dalla capitale Nairobi è risultato positivo al covid-19 ed è stato subito trasferito in un centro per l’isolamento.
Finora il Kenya ha registrato 1.286 contagi e 52 decessi e il 18 maggio sono stati individuati i primi due casi in un altro grande campo profughi del paese, quello di Dadaab, al confine con la Somalia. Alla fine di aprile il governo aveva ordinato il blocco di tutti i movimenti in entrata e in uscita dai due campi.
Le misure di contenimento e il coprifuoco notturno hanno alterato la vita all’interno del campo di Kakuma, si legge su Al Jazeera. E i giornalisti di Kanere si sono adattati alle nuove circostanze. Il giornale, il cui nome è un’abbreviazione di Kakuma News Reflector, è stato lanciato nel 2008 e ci lavorano persone provenienti dai vari gruppi etnici che vivono nel campo, riuscendo così a dare voce a tante esigenze diverse.
Grazie alla donazione di un’ong tedesca, Kanere è riuscita a garantire la copertura delle notizie anche durante il lockdown, in collaborazione con una radio locale. Le interviste si svolgono principalmente tramite WhatsApp, mentre una jeep bianca attraversa il campo ogni giorno diffondendo messaggi in varie lingue sull’importanza della prevenzione e dell’igiene per combattere il virus.
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