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(afp)

la Repubblica

Incentivi "4.0" alle aziende, firmato il decreto

Il ministro Patuanelli firma il decreto Transizione 4.0 che estende e potenzia il piano con le misure per mettere il Paese al passo cona la quarta rivoluzione industriale

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Si avvicina l'alba della nuova politica industriale italiana adeguata, con l'innovazione, al tempo del coronavirus. Il ministero allo Sviluppo economico ha firmato il 26 sera il decreto che estende e potenzia il piano industria 4.0, con le misure che erano previste e poi erano saltate nel decreto Rilancio di maggio.

Ad annunciare la firma del decreto attuativo è stato il ministro Stefano Patuanelli: "Ho firmato - ha detto ieri - il decreto ministeriale sul pacchetto Transizione 4.0. Altri 7 miliardi per dare nuova linfa all'innovazione delle imprese. Puntiamo ad innovare anche i processi oltre ai macchinari, investendo sul futuro con una visione chiara. Si passa dal sistema dell'ammortamento al credito di imposta, e questo significa aumentare di più del 40% la platea delle imprese che possono accedere a questo incentivo".

Il numero quattro sta per la quarta rivoluzione industriale: quella dell'automazione, dell'intelligenza artificiale e dei big data, in cui tutti i Paesi evoluti sono entrati. Un piano 4.0 l'Italia ce l'ha dal Governo Renzi - in ritardo rispetto alla Germania e gli Stati Uniti - ma aveva bisogno di dargli una rinfrescata. Necessario fare leva sull'innovazione industriale per ripartire dopo lo stop indotto dalla crisi sanitaria.

Come dice a Repubblica il sottosegretario del Mise Gian Paolo Manzella, "Il Piano 4.0 è e sarà sempre più centrale nella fase di rilancio. Una misura che spinge alla digitalizzazione le imprese, che ha cambiato le cose per centinaia di migliaia di imprese. Dobbiamo lavorare alla triennalizzazione della misura e alla sua diffusione e in questo senso il Recovery Fund apre possibilità importanti".

"Come l'Italia ha detto all'ultimo Consiglio Competitività, il 4.0 deve essere un brand dell'industria europea, un programma che rappresenta la qualità e la modernità della nostra manifattura".
 
Il decreto quindi, come atteso, estende di tre anni la misura e mira a estendere l'innovazione industriale a un più ampio parco di aziende e attività, con gli strumenti - già noti nel precedente piano - del credito d'imposta per l'acquisto di beni e servizi 4.0, per le spese in ricerca, sviluppo, innovazione, design e anche formazione di competenze adeguate.
 
Il credito di imposta per gli investimenti digitali sale dal 6% a 10% con un bonus ulteriore - pari al 15% - destinato alle spese per agevolare lo smart working. Inalterato il tetto di spesa,  a 2 milioni di euro. Patuanelli in un question time al Senato nei giorni scorsi aveva aggiunto che il credito d'imposta "verrà garantito, rafforzando Impresa 4.0 e portandola ad un arco temporale di tre anni e sarà "legato alle necessarie trasformazioni delle linee produttive legate alla protezione dei lavoratori e degli imprenditori stessi dal Covid.

Le imprese dovranno investire per adeguare le linee produttive per garantire il distanziamento e quegli investimenti dovranno essere sostenuti attraverso meccanismi di credito di imposta immediatamente cedibili agli istituti finanziari per creare appunto la liquidità necessaria a fare questi investimenti". Tre le direttrici: "Fondo perduto, da un lato, ricapitalizzazioni, dall'altro, e credito di imposta per gli investimenti, come terzo elemento, non soltanto per gli investimenti in fabbrica, ma anche per il settore dell'edilizia che può essere il motore della economica del nostro Paese".

Il decreto ora è al vaglio della Corte dei Conti, prima di debuttare in Gazzetta Ufficiale.

Molta è l'attesa degli esperti. L'estensione del piano è una buona notizia ma non basta: la sfida sarà farlo funzionare bene. "È chiara l'esigenza di raggiungere  il maggior numero di imprese", dice Gianpiero Ruggiero, esperto di innovazione presso il Cnr. "I dati del precedente piano Industria 4.0. ci hanno detto che erano ancora poche (13%) le imprese che si sono avvalse delle agevolazioni per la digitalizzazione. L'ostacolo maggiore erano gli elevati costi. Oggi sembra che il piano faccia un passo in avanti".

"Anche il tema delle certificazioni dei crediti d'imposta ha suscitato in passato forti malumori e contrasti con l'agenzia delle entrate per una interpretazione restrittiva sulle spese da ammettere. Qui c'entra il peso della burocrazia amministrativa che questa volta dovrebbe alleggerirsi (speriamo). Ma questo lo si vede solo dopo qualche anno fiscale", aggiunge.

"Con il nuovo Piano l'Italia sembra andare incontro alle raccomandazioni europee, orientate a un maggiore uso delle tecnologie digitali per facilitare la transizione verso una economia e una società più ecologiche", continua Ruggiero.

Insomma, il piano può farci uscire dal rischio recessione? "Sì, se visto come un meccanismo appropriato di miglioramento della produttività", risponde Ruggiero.