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la Repubblica

Latina, "è in affari col clan dei Casalesi": confiscato l'impero Zangrillo, 22 milioni tra case, terreni e società

Già carabiniere e carrozziere, Vincenzo Zangrillo, originario di Formia, alla luce delle indagini della Dia di Roma, farebbe parte di una impresa criminale con legami stretti con le famiglie camorriste casertane

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Con un passato da carabiniere, lasciata la divisa per un lavoro umile quale quello del fabbro-carrozziere, si inventa a un tratto imprenditore e accumula una fortuna. Quell'impero realizzato da Vincenzo Zangrillo, di Formia, però, alla luce delle indagini svolte dalla Dia di Roma, sarebbe stato il frutto soltanto di un'impresa criminale, mandata avanti con legami strettissimi con il clan dei Casalesi. Un'indagine che ha portato ora la Corte d'Appello di Roma a confermare la confisca di un patrimonio stimato in oltre 22 milioni di euro, fatto di oltre 200 mezzi, 150 immobili, 21 ettari di terreni, 6 società, 21 conti correnti e rapporti bancari di varia natura, tra le province di Latina, Frosinone, Napoli e Isernia.

I giudici romani hanno blindato il provvedimento preso nel marzo 2018 dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Latina, accogliendo la proposta del direttore della Dia. La Direzione investigativa antimafia ha battuto sulle attività illecite compiute negli anni da Zangrillo, tra traffico internazionale di sostanze stupefacenti, caratterizzato da contatti con noti narcotrafficanti, e rifiuti, contrabbando di tabacchi, riciclaggio e traffico internazionale di autoveicoli, mostrando come, con il trascorrere del tempo, in parallelo a tali attività criminali sia aumentato a dismisura il patrimonio individuale e imprenditoriale dell'ex carabiniere.

Un uomo che appariva come un affermato imprenditore nei settori del trasporto merci su strada, del commercio all’ingrosso, dello smaltimento di rifiuti, del settore immobiliare e del commercio di autovetture, mentre continuava a collezionare denunce, arresti e processi, ma soprattutto rapporti intensi con esponenti della camorra casertana.

La Corte d'Appello, avvalendosi anche di un consulente tecnico esterno, ha così respinto il ricorso della difesa, confermando la confisca del patrimonio e riducendo soltanto la sorveglianza speciale da tre a due anni per Zangrillo. Per i giudici del resto, "nonostante le numerose vicende giudiziarie e cautelari" che hanno coinvolto l'imprenditore nel corso di ben 25 anni, "egli non ha mai cessato di delinquere, vuoi con attività di ricettazione continuativa e massiccia di veicoli, via via evolutasi fino al punto di passare alla ricettazione di automezzi di grandi dimensioni e di notevole valore, vuoi con la commissione di reati ulteriori, quali quelli di falsità documentale e simulazione di reato".

A pesare poi le frequentazioni in modo continuativo" con un noto appartenente ad un clan camorristico, Antonio Mendico, "prestandosi a rapporti d'affari ancora una volta opachi", e quelli ugualmente continuativi con Nicola Schiavone, "anch'egli pregiudicato per reati inerenti il narcotraffico ed altresì per reati inerenti alle armi da fuoco".

Condotte illecite mantenute anche dopo il sequestro dei beni. E la Corte d'Appello non ha avuto dubbi: nessun elemento farebbe pensare che Zangrillo abbia deciso di cambiare stile di vita.