Coronavirus: dall’ansia di contagio all’illusione del rischio zero
Alla ricerca del punto di equilibrio con la dottoressa braidese Laura Mondino, esperta di neuroscienze e comportamenti umani
by Silvia GullinoL’emergenza sanitaria che stiamo vivendo a causa del Coronavirus sta modificando inevitabilmente ogni aspetto della società. Da una parte l’ansia di contagio e la sicurezza domestica che si esprime nella ‘sindrome della capanna’.
Dall’altra l’illusione di rischio zero che sta all’origine della movida del sabato sera. Siamo andati alla ricerca del punto di equilibrio con la dottoressa braidese Laura Mondino, esperta di neuroscienze e comportamenti umani.
Dottoressa, come riuscire a districarsi tra decreti, regole e nuove abitudini?
“Non è facile districarsi tra decreti, regole e nuove abitudini. E lo dimostrano i continui fatti di cronaca. Ultimo, il caso di un ambulante di Carmagnola, che pur sapendo di essere positivo al Covid-19, ha continuato a frequentare i mercati dove lavorava con il suo banco di frutta e verdura.
Ora, oltre alla violazione dell’obbligo della quarantena, rischia anche una denuncia per epidemia colposa: per le Forze dell’Ordine, risalire a tutte le persone con cui può essere entrato in contatto nella sua giornata di lavoro, è pressoché impossibile. Non poter mappare chi è entrato in contatto con l’ambulante ha preoccupato non poche persone, come è chiaramente leggibile nei commenti a corredo della notizia”.
Non necessariamente tutti coloro che sono stati al mercato, sono entrati in contatto con la persona in questione. Però sapere questo non ci fa sentire più al sicuro. Che cosa scatena in noi la paura?
“Ogni volta che ci sentiamo minacciati, una parte del nostro cervello, chiamata amigdala, si attiva. L’amigdala ha un obiettivo ben preciso: cercare le minacce e, se ne intercetta una (come nel nostro caso la possibilità di infettarsi), prepararci ad affrontarla al meglio. L’amigdala ha sempre svolto una funzione importante: proteggerci. Le piace giocare in sicurezza e ci spinge ad agire di impulso, bloccando il pensiero razionale”.
Anche quando il rischio è più percepito che reale?
“Le Neuroscienze dimostrano che quanto più un evento ci colpisce emotivamente, tanto più facilmente lo ricorderemo e spesso la preoccupazione non è adeguatamente accordata con la probabilità del danno”.
Un esempio?
“Rispondo con una domanda: causano più morti, nel mondo, i tornado o l’asma? I tornado causano più morti dell’asma, anche se questa è 20 volte più frequente come fattore letale. Così come la morte per incidente è ritenuta oltre 300 volte più probabile della morte per diabete, nonostante il vero rapporto sia di 1 a 4 e le morti per suicidio furono 15mila in più di quelle causate dal virus Hiv che infuriava senza possibilità di cura tra il 1987 e il 1996.
Questi esempi ben svelano come la mente ci trae in inganno di fronte alle statistiche, in quanto è condizionata a stimare la frequenza di un evento sulla base della facilità con cui riesce a ricordarlo, avendo la propensione a stimare le probabilità sulla base del ricordo e dell’impatto emotivo generato, più che su dati probabilistici oggettivi”.
Tornando all’esperienza del mercato, ci sono esempi che mostrano quanto le nostre credenze e le nostre abitudini siano, invece, esponenzialmente più pericolose di quanto pensiamo, ma le ignoriamo?
“Ce ne sono, eccome. Sa perché abbiamo l’abitudine, quando compriamo il giornale la mattina, di non prendere il primo della pila, ma quello subito sotto? O perché quando entriamo in un bagno pubblico evitiamo, se possibile, il primo? Il 72% delle persone cade in queste trappole.
Immaginando che il secondo giornale non sia stato maneggiato quanto il primo da un mucchio di mani piene di germi e sia quindi più pulito del primo. Paradossalmente, però, dopo aver letto i titoli, gran parte del 72% dei consumatori rimette il giornale esattamente dove l’ha trovato, sotto la prima copia; quindi finiamo per rimaneggiare tutti lo stesso giornale.
Lo stesso vale per i bagni. Solo il 5% delle persone entra nel primo bagno. Perché? Perché siamo convinti che sia meno pulito del secondo o del terzo. L’illusione di pulizia è un persuasore occulto piuttosto potente. Come insegna il Neuromarketing, basta insufflare essenza di limone, per far sembrare un ambiente igienizzato. Quando al mercato o in un negozio, prendiamo in mano un oggetto per esaminarlo e decidere se comprarlo, si attiva l’amigdala, la parte del cervello che controlla la paura, il senso di pericolo.
Toccare un prodotto genera paura, soprattutto di questi tempi. E quando dopo averlo esaminato, lo compriamo, non compriamo quello che abbiamo preso in mano. Come per i giornali si tende a rimettere a posto l’oggetto esaminato e selezionarne uno identico, piazzato dietro.
E quando il prodotto che vogliamo è l’unico rimasto, la reazione di paura può spingere a dirigerci verso un’altra marca o prodotto. Il consiglio è dunque quello di non lasciarsi ingannare! Soprattutto se un prodotto che piace, è l’ultimo rimasto al suo posto!”.
Confesso di essere caduta anch’io in queste trappole.
“È normale, ci cadiamo tutti. Siamo umanamente irrazionali”.
Quindi ipotizzare una società a rischio zero è un’illusione?
“Che una società aspiri al rischio zero è comprensibile, ma è pericolosamente illusorio: una vita senza rischi è impossibile. Immaginare che lo sia, ha conseguenze nefaste: aumentano violenza, intolleranza, paura.
Coltiviamo l’illusione, errata, che il rischio è l’altro. Ciò che ci accade è per forza responsabilità dell’altro, io non c’entro. Abbiamo semplicemente dimenticato che una società a rischio zero è una società ad attività zero. Quando si opera una scelta o si prende una decisione c’è sempre un rischio da considerare, ma spesso si tende a nasconderlo.
Certezza è errato sinonimo di potere, nel vocabolario della società della conoscenza: chi ha le risposte diventa necessario per gli altri. Questo spinge a un atteggiamento nei confronti degli errori per cui si crede sia meglio non correre rischi piuttosto che ammettere di aver sbagliato.
La scelta di non correre rischi non è però una situazione favorevole all’innovazione, perché l’originalità costringe a correre dei rischi e a commettere, così facendo, degli errori. Niente rischi, niente innovazione. Non si possono dunque eliminare tutti gli errori, allo stesso modo come non si possono prevenire tutti i disastri, in preda alla mania di sicurezza”.
Che cosa possiamo dire alle persone per infondere loro tranquillità e fiducia?
“La vita è un fragile segmento di libertà punteggiato da un inesauribile elenco di rischi e pericoli che, tra casualità, statistiche e verosimiglianza, rappresentano al tempo stesso motore e ostacolo dell’agire umano.
Insomma, se in quel mercato ci si è andati, ma se si sono ben adoperati i presidi di prevenzione come mascherine e guanti ed attuati i consigli come il corretto lavaggio delle mani e, una volta a casa, si è provveduto a lavare bene frutta e verdura, la possibilità del contagio è trascurabile”.
Equilibrio imperfetto quello tra sicurezza e libertà…
“Il rischio zero è un’utopia pericolosa, anche se è da quando gli uomini popolano la Terra che sono alle prese con il problema del mettersi al sicuro. Ma anche di paure. Perché decidere, se da un lato è una libertà, implica necessariamente prendersi dei rischi e l’incertezza che ne consegue non piace troppo al nostro cervello, come abbiamo visto.
Ma nonostante la familiarità acquisita in millenni di convivenza, l’uomo ancora non ha appreso la capacità di come sopportare le insicurezze, esporsi ai rischi e fronteggiare nuovi pericoli senza illusioni. È il rischio dei rischi, il pericolo più totalizzante, cui non a caso punta oggi la guerra del terrore: trasformare la libertà in un derivato tossico del processo apparentemente asettico della sicurezza”.
Quindi facciamo attenzione: in questo periodo si possono fare grandi cose o grandi errori.