Riscopriamo le buone maniere

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di Massimo Sgrelli*

Può sembrare strano, ma tra il mondo del tabacco e quello delle buone maniere corrono contatti non secondari. Ad esempio, lo smoking è abito nato in Inghilterra per evitare di imbrattare di cenere di sigaro il gilet bianco del frac. Allora, infatti, al termine della cena c’era l’uso per gli uomini, non solo nei club londinesi, di ritirarsi in gruppo a fumare in ambienti limitrofi alla sala da pranzo. All’epoca, XIX secolo, gli esponenti delle classi elevate indossavano come abito formale il frac, con il quale partecipavano alla cena e al prosieguo della serata. Ma quegli immacolati gilet e papillon bianchi venivano spesso imbrattatati di cenere, quando i gentiluomini si sedevano sui divani del club, fumando con piacere e conversando amabilmente tra loro. Così venne in uso di adottare un abbigliamento meno pomposo e più pratico, soprattutto che non avesse il gilet bianco, ma nero in modo da continuare la serata senza sentirsi nel disagio di esporre un gilet visibilmente macchiato di cenere. E anche il papillon dello smoking era nero per coprire ogni traccia di sbrodolature. Nasce così lo smoking, indossato anche oggi, soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America, ove viene chiamato tuxedo.

Dress code

In smoking si partecipa anche ai pranzi di Stato al Quirinale e alla prima della Scala, il 7 dicembre, e in quelle altre occasioni formali dove è richiesto.

Ovviamente, allo smoking e al frac corrispondono abiti femminili formali, che hanno, tuttavia, fogge e colori assai più liberi, salvo la necessità di essere lunghi fino a terra, per fornire una eleganza più visibile.

Ma, oggi, intorno al fumo si rincorrono regole minuziose disposte, nei singoli paesi, per irreggimentare la sua presenza negli ambienti pubblici e in quelli di lavoro. È, inoltre, ormai caduto l’uso di offrire sigarette e sigari al termine di un pasto, come si usava fino a qualche lustro fa. E così nasce anche un esercizio di buone maniere nell’accendere una sigaretta o, talora, nello spegnerla laddove previsto.

Chi è ben educato si riconosce, pertanto, anche dall’uso che fa del proprio sigaro di fronte ad altre persone, o in ambienti comuni. I più attenti si spingono a disciplinarsi anche tra le mura domestiche. E ciò è generalmente giudicato fattore espressivo di attenta sensibilità.

Influsso della tecnologia

Intorno al mondo del tabacco ruota uno stile di comportamento che contribuisce a qualificare chi lo esprime. Ma le riflessioni odierne sulle buone maniere riguardano piuttosto il mondo pubblico che quello privato. Tutto si origina da una recente e potente accelerazione della storia che sta trasformando rapidamente tutti gli stili consolidati in secoli di tradizioni.

L’impulso principale viene dalla tecnologia, penetrata così capillarmente nella vita quotidiana, oltreché nel mondo del lavoro, da trasformare gli stili comportamentali di ciascuno. Siamo chiamati a vigilare e imporci di non scendere ai livelli proposti da molti protagonisti della vita pubblica e privata odierna. E ci compete di proporre uno stile che risulti rispettoso delle regole generali della buona educazione privata e delle buone regole istituzionali pubbliche.

Ciascuno deve fare qualcosa, nel proprio ambito di azione, per fornire un contributo di crescita dello stile comportamentale, per evitare che il degrado porti la consunzione totale delle regole di buona convivenza nei singoli contesti, come quello scolastico, di lavoro, sociale, familiare, sportivo e, soprattutto, istituzionale.

Stile come identità

Lo stile è uno dei fattori identificativi di un popolo, e non certamente secondario. Si dice, infatti, che il primo fattore di identità di una collettività sia la lingua, il secondo lo stile e il terzo il cibo. Su questi tre fattori primari si disegna l’identità popolare di ciascun contesto.

Lo stile italiano è apprezzato nel mondo per alcuni aspetti, ma criticato per altri. Le critiche giungono prevalentemente per una scarsa formalità istituzionale e anche privata, discendente da ragioni storiche, politiche e sociali, che molti trattati ci illustrano. Acquisire coscienza di ciò è già un fattore altamente positivo perché ci pone nella condizione di analizzare i nostri stili di comportamento e valutarne la formalità, per garantire, eventualmente, un adeguamento su livelli superiori.

Dietro i banchi

Per far ciò dobbiamo essere consapevoli che nessuno ci fornirà stimoli e, tantomeno, esempi. Dobbiamo, quindi, essere noi ad assumere l’iniziativa di individuare e praticare lo stile più corretto. Per tale scopo risulta importante l’attività di formazione condotta con attenzione dall’Accademia del Cerimoniale rivolta a funzionari e dirigenti di ogni livello.

Dobbiamo riflettere sull’esistenza di un comportamento istituzionale nel mondo pubblico, ma anche in quello privato. E il comportamento istituzionale non si limita a rispettare le leggi, perché vuole affermare una dignità superiore, quella invocata dall’articolo 54 della nostra Costituzione, che invoca disciplina ed onore come fattori qualificanti del buon agire pubblico. Ma esiste anche un comportamento istituzionale aziendale.

Troppe regole non aiutano

Noi italiani siamo sopraffatti da una quantità sterminata di disposizioni, come dice Sabino Cassese, per lo più derogatorie e quasi mai generali. Questa pioggia di regole si abbatte su di noi quotidianamente costringendoci a percorsi tortuosi, uscendo dai quali ci sentiamo già vincitori e appagati, perfino se non abbiamo conseguito il risultato atteso, ma semplicemente se non siamo incorsi in qualche infrazione. È difficile perciò trovare chi chieda di rispettare anche lo stile, se tante energie dobbiamo spendere per rispettare le infinite disposizioni.

Ma la nostra riflessione vuole indurci a considerare che lo stile non è un soprammobile aggiunto, ma il modo di fare le cose. C’è sempre una forma espressiva e comportamentale per attuare qualcosa. E scegliere la forma giusta generalmente non richiede sforzi aggiuntivi, ma soltanto attenzioni aggiuntive.

Nel mondo globalizzato odierno le attenzioni vanno rivolte anche alle consuetudini dei nostri interlocutori, se vogliamo mantenere relazioni sempre migliori.

*Presidente del Comitato Scientifico dell’Accademia del Cerimoniale-Protocol Academy

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