UE E POLITICA/ Il vero potere e le finte soluzioni che lasciano indietro l’Italia

Continuano a rendersi più evidenti le differenze tra Paesi europei. C’è chi comanda e chi si aggrappa a soluzioni illusorie per la crisi

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La moneta unica non c’è mai stata, lo dico da anni. Quello che abbiamo è in realtà un sistema di cambi fissi che usa monete di fatto diverse per ogni Stato della zona euro, ma chiamate tutte con lo stesso nome “euro”. Ho sempre spiegato questa mia convinzione con l’evidenza che quando uno qualsiasi di questi Stati va a chiedere un prestito, ottiene un interesse differente dagli altri, un interesse a lui dedicato, come se fosse un soggetto diverso. Ma non è il singolo Stato in quanto tale a essere differente, in realtà è la moneta che è differente, ma lo è sotto mentite spoglie, perché si manifesta nella stessa forma apparente in tutti gli Stati.

Ora queste vestigia di “forma eguale” sono tutte lacerate e mostrano tutta la loro diversità a seconda degli Stati, a seconda dei luoghi, a seconda delle occasioni. In altre parole, la moneta mostra tutto il suo essere “politico”, per cui si parla appropriatamente di “politica monetaria”.

Questa differenza non è solo filosofica, ma ha conseguenze concretissime, quelle per le quali la Germania non ha avuto e non ha problemi nel promettere 550 miliardi per affrontare la crisi e per consegnare materialmente nei conti correnti dei cittadini 9.000 euro (cioè 3.000 euro da contare per tre mesi) a fondo perduto, mentre l’Italia per iniziare ad assegnare i 25.000 euro come prestiti ha dovuto attendere l’autorizzazione dei competenti uffici della Bce.

Questa “euro differenza” da Paese a Paese l’abbiamo vista anche nelle goffe trattative del Governo Conte nel disperato tentativo di ottenere qualcosa, non volendo fare l’unica cosa necessaria, cioè indebitarsi per immettere liquidità a fondo perduto per famiglie e imprese. Negando di voler ricorrere il Mes e poi prendendosi il merito di aver promosso il Recovery fund (in realtà già proposto da altri) che nelle belle intenzioni doveva avere una dotazione di mille miliardi; ma è bastato un incontro a quattr’occhi tra Macron e la Merkel e questo è diventato di 500 miliardi. Certo, ora dovrà essere approvato dagli altri 27 Paesi e questo accordo appare tutto in salita, visto che l’improvvida iniziativa dei capi di stato francese e tedesco ha sortito l’effetto di coalizzare i Paesi contrari a quel fondo (Austria, Olanda, Danimarca, Svezia; ma i due non l’avranno fatto apposta per far fallire il Recovery fund? E se fallisse, dove si andrà a nascondere Conte con tutto il suo Governo?).

Un’iniziativa spacciata dall’esecutivo italiano come soldi a fondo perduto, salvo poi scoprire tra le pieghe dei documenti che la concessione del fondo viene legata a un piano di rientro del capitale. Di fatto si tratta di un prestito.

Ora c’è un aggiornamento. La Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen, per mostrare di esistere e di contare ancora qualcosa, ha proposto un piano da 560 miliardi a cui ha messo il nome di “Next Generation EU”, dotandolo nelle intenzioni di 750 miliardi, che andranno a espandere il bilancio dell’Unione europea. Di questi, 560 miliardi offriranno supporto per “investimenti e riforme”. Tutto bene? No, perché come verranno spesi i soldi lo decidono loro: investimenti per il verde e per la “transizione tecnologica” (chissà che vuol dire). Di questi 560 miliardi, ben 310 sono a fondo perduto.

Ma “perduto” per chi? Da dove verranno presi questi soldi? Dal bilancio dell’Ue (questa sarebbe la novità?!), cioè dai soldi conferiti dagli Stati; anzi no, da titoli emessi dall’Ue garantiti con i soldi conferiti dagli Stati. Verrebbe da ridere, se non pagassimo noi. Infatti, il bilancio Ue è alimentato con i soldi delle nostre tasse, a partire da una quota dell’Iva. Espandere il bilancio dell’Ue equivale quindi ad espandere la tassazione per la nostra economia, già vessata sul fronte dei tributi.

A mettere la ciliegina sulla torta c’è il fatto che il bilancio dell’Ue, che viene approvato per sette anni, non ha trovato ancora il consenso dei Paesi europei. Dopo l’uscita della Gran Bretagna aumenta la quota di tutti, ma la Germania (che paga la quota più grande) ha già fatto sapere che non vuol sentir parlare di aumenti. La posizione tedesca è intollerabile (almeno in un quadro che dovrebbe essere di collaborazione) perché già usufruisce di uno sconto immotivato della propria quota (o meglio, motivato dal fatto che uno sconto lo aveva ottenuto pure la Gran Bretagna, che ora è fuori). Anche nella poco probabile ipotesi di un’approvazione del bilancio dell’Ue con questa espansione, i soldi non arriveranno prima del 2021, quando l’economia reale sarà ormai in stato comatoso.

Dalle indiscrezioni finora emerse, all’Italia toccherebbero 172 miliardi, di cui 81 a fondo perduto. Siccome però pesano sul bilancio Ue, dove la nostra quota (per ora) è di 55 miliardi, di fatto stiamo parlando di 25 miliardi in 5 anni, cioè briciole. Lo ha ammesso apertamente anche Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo economico e da sempre europeista convinto, in un tweet. A completare il quadro, mettiamoci pure la totale opposizione dell’Olanda a un piano che richiede l’approvazione all’unanimità dei 27 Paesi europei. Vedete quanto è bello e utile stare nell’Euro? Completamente inutile, tanto che un Paese che non ha l’euro potrebbe mettersi di traverso e ostacolare un piano di aiuti ad un paese che ha l’euro. Questo è il bello di una scelta (ottusa) come quella di voler creare un fondo che pesa sul bilancio Ue e non viene, per esempio, finanziato dalla Bce. Proprio un bel guadagno. Ci dobbiamo sorprendere se nessun altro Stato pensa di attingere al Recovery fund?

Nel frattempo un’altra indiscrezione circola in queste ore: la Bce si sta preparando a un nuovo Qe senza la Bundesbank. In altre parole, fornirà alle altre banche centrali la liquidità necessaria per acquistare titoli di stato tedeschi. Tale soluzione verrà implementata per scavalcare la recente sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che pretende di condizionare le autorità tedesche relativamente alle loro politiche (anche monetarie) di intervento, volendo giudicare se tali politiche sono svolte in condizioni di parità per gli interessi nazionali (tedeschi). In parole povere, se un Qe favorisce un Paese, non va bene per gli interessi tedeschi. Una sentenza i cui effetti rischiano di spaccare definitivamente l’Europa.

Il sogno europeo finirà per mano tedesca? In fondo, occorre ricordare che il marco tedesco non è mai stato ritirato dalla circolazione, al contrario di quanto ha fatto la Banca d’Italia con la lira, ponendo come data limite per cambiare i contanti l’anno 2011.