MISURE ANTI-CRISI/ Per la ripartenza non bastano solo i soldi

L’economia deve saper ritrovare le proprie basi che partono dalla persona, ma sono direttamente collegate ai caratteri e alle condizioni della società

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L’Italia, come tutti i Paesi del mondo impegnati ad affrontare la pandemia, ha bisogno di ritrovare la strada della crescita, dell’occupazione, di una lotta alle disuguaglianze che parta dalla creazione di ricchezza. Tutti i Paesi, sostenuti dall’avvio di una pur fragile solidarietà, hanno varato piani di sostegno finanziario per aiutare i lavoratori che hanno visto crollare i loro redditi così come le imprese che si sono trovate da un giorno all’altro a dover chiedere reparti di produzione e magazzini.

I contributi a fondo perduto così come la possibilità di ottenere prestiti con la garanzia dello Stato, appaiono altrettanto indispensabili quanto insufficienti a rimettere in moto la dinamica dell’economia. La più recente crisi economica, quella iniziata a fine 2008, era caratterizzata soprattutto da un fattore scatenante: gli squilibri finanziari con l’esplosione della bolla speculativa dei mutui subprime. La crisi che stiamo vivendo è diversa dal passato perché vede coinvolte ben cinque dimensioni di difficoltà.

La prima dimensione è quella sanitaria con il coinvolgimento di milioni di persone e l’esplosione dei costi sanitari e di assistenza. La seconda è quella causata dal lockdown: il blocco della produzione, salvo che per i beni essenziali, e quindi una crisi dell’offerta di beni e servizi. La terza è quella causata dalla caduta della domanda: non solo per la chiusura delle attività commerciali, per il blocco dei trasporti, per la sospensione di piccole o grandi manifestazioni, ma anche per la caduta dei redditi di larga fascia della popolazione. La quarta dimensione è quella dei debiti pubblici, in particolare quello italiano, già particolarmente alto e che si sta ritrovando a fare i conti con un deficit di bilancio che potrà superare il 10% del Pil. Il quinto fattore di crisi è la sostanziale chiusura delle frontiere per le persone, con tutto quello che ne deriva per un settore importante come il turismo.

Riavviare il circolo virtuoso dell’economia in queste condizioni costituisce sicuramente una grande sfida perché si tratta di affrontare un mostro dalle cinque teste, una sfida che ricorda quella di Ercole contro l’Idra, la una creatura della mitologia che aveva forma di serpente, ma dotata di un incredibile numero di teste, una sola delle quali era immortale, e che comunque ricrescevano quando si riusciva a tagliarle .

Per affrontare il mostro della recessione i soldi sono importanti, ma altrettanto importanti appaiono i fattori personali e sociali che possono favorire la capacità dell’economia di rimettersi in moto e soprattutto di ricominciare a produrre ricchezza e lavoro. In un bel libro (“Le chiavi della prosperità”, Bocconi editore, pagg. 188, € 20) scritto lo scorso anno, ben prima dell’emergenza, Matteo B. Marini, docente di Teorie dello sviluppo economico all’Università della Calabria, mette in luce come alla base della crescita oltre ai fattori materiali si deve porre in prima fila un elemento come la mentalità sociale.

In pratica, l’economia deve saper ritrovare le proprie basi che partono dalla persona, ma sono direttamente collegate ai caratteri e alle condizioni della società. E quindi i valori personali, ma anche l’efficienza delle istituzioni, lo spirito imprenditoriale, ma insieme alla certezza del diritto e all’efficienza delle amministrazioni, la capacità di innovare, ma anche una dimensione politica favorevole all’impresa e all’iniziativa personale.

C’è in fondo un’etica dello sviluppo economico, un’etica che nasce dalla possibilità che dal sistema di produzione e di scambio tutti i protagonisti possano trarre un vantaggio e quindi concorrano ognuno secondo le proprie competenze a un benessere comune. Una visione particolarmente importante in una realtà come quella attuale in cui il ruolo degli Stati appare decisivo per evitare che la crisi si avviti su se stessa. Ma sarebbe un errore pensare che a un accresciuto ruolo dello Stato debba corrispondere una riduzione delle potenzialità del mercato. Quindi più Stato, perché è necessario, ma anche più mercato, perché solo con l’impegno e la passione di tutti si può pensare di uscire dalle sabbie mobili della crisi.