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Eventi stressanti durante l’infanzia? Non sempre gli effetti sono negativi, anzi

Studio Usa condotto su 214 ragazzi tra i 9 e i 13 anni. Analizzata l’elaborazione socio-emotiva a livello neurale e di invecchiamento cellulare

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Una certa dose di stress durante l’infanzia può avere delle conseguenze non del tutto negative sullo sviluppo della capacità di reagire alle difficoltà. Lo mostra un lavoro condotto da un team dell’Università di Stanford in California che ha considerato l’elaborazione socio-emotiva analizzandola a livello neurale e di invecchiamento cellulare. I ricercatori hanno mostrato che le reti neurali degli adolescenti che da piccoli hanno vissuto esperienze stressanti sono molto simili a quelle tipiche di un cervello adulto. In altre parole, lo stress accelera lo sviluppo della connettività tra l’amigdala e la corteccia prefrontale che appare più matura. Inoltre, i ragazzi esposti da piccoli allo stress avevano un ridotto accorciamento dei telomeri, indice di invecchiamento cellulare, rispetto agli altri.

Lo studio è stato condotto su 214 ragazzi di età compresa tra 9 e 13 anni, seguiti per due anni.  Come si legge nel lavoro, apparso su Cerebral Cortex , gli autori hanno esaminato «le relazioni tra lo stress nei primi anni di vita (ELS, early life stress), l’attività della circuiteria neurale frontale e dell’amigdala durante l’osservazione di volti esprimenti emozioni, l’invecchiamento cellulare misurato tramite l’accorciamento dei telomeri e lo sviluppo puberale».

All’inizio dello studio, i partecipanti dovevano dire se avevano assistito a eventi come disastri naturali, incidenti o violenze, e i ricercatori procedevano alla raccolta di un campione di saliva, per analizzare la lunghezza dei telomeri, strutture che incappucciano e proteggono l’estremità dei cromosomi. I telomeri sono una sorta di orologio della cellula, perché alla nascita hanno una certa lunghezza che si va riducendo con gli anni.

Inoltre, i ricercatori con una risonanza magnetica funzionale hanno analizzato le reazioni dei soggetti alla vista di una serie di immagini raffiguranti delle persone che esprimevano diverse emozioni. In particolare, si sono concentrati sulla comunicazione tra l’amigdala e la corteccia prefrontale ventromediale.

Nei bambini, infatti, queste due aree così diverse e distanti del cervello tendono a scaricare in modo sincronizzato, mentre negli adulti l’attivazione della corteccia prefrontale tende a silenziare l’amigdala. Ne è emerso che la connettività funzionale dei bambini più esposti allo stress era più simile a quella tipica degli adulti. A due anni di distanza, si è visto inoltre che proprio questi bambini sembravano dirigersi più lentamente verso la pubertà e che l’accorciamento dei loro telomeri era progredito più lentamente rispetto ai loro coetanei.

I principali eventi stressanti riportati dai soggetti sono stati, in ordine di frequenza, l’aver assistito a un incidente come un attacco di cuore (il 48% dei bambini), spostamenti ripetuti, tra cui l’espulsione dal paese (il 48%), litigi verbali tra genitori (il 39%), morte di una persona cara (il 34%), bullismo (33%), divorzio dei genitori (32%), aver vissuto un incidente stradale (22%), ma anche separazione della famiglia, problemi finanziari, furti o sparatorie, violenza domestica, suicidio di una persona conosciuta, disastri naturali come tornado e uragani (il 5%) e altro.

Lo studio conferma con dati biologici qualcosa che è noto da tempo: non tutti i cambiamenti dovuti allo stress sono necessariamente negativi, alcuni possono favorire lo sviluppo della resilienza ed equipaggiare i ragazzi per affrontare il futuro.