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Nepal, dove le mestruazioni sono una colpa

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Oggi si celebra la Giornata Internazionale dell’Igiene Mestruale. Le mestruazioni, in alcune parti del mondo, sono ancora vissute come un taboo o come un motivo di discriminazione.

Oggi è la Giornata Internazionale dell’Igiene Mestruale: se si sommano tutti i giorni in cui la donna ha il ciclo, si totalizzano 7 anni. Eppure le mestruazioni, in alcune parti del mondo, sono ancora vissute come un taboo o come un motivo di discriminazione.

In Nepal, e non solo nelle aree rurali del Paese, persiste il «chhaupadi», che consiste nell’isolare in capanne lontane dalle case le donne mestruate. Si tratta di una pratica molto diffusa nei distretti dell’estremo occidente del Nepal, nonostante sia stata messa fuorilegge nel 2005 e diventata reato nel 2017 (i trasgressori rischiano fino a tre mesi di prigione): ogni anno continua a provocare tante morti che sarebbero state evitabili.

Le donne mestruate sono considerate contaminate e nessuno vuole avere contatti con loro, per paura che quelle interazioni possano portare sfortuna. A loro è anche vietato l’uso delle risorse idriche comuni.

Secondo gli attivisti per i diritti di genere, la ragione principale per cui una prassi obsoleta come il il «chhaupadi» non è ancora stata abolita è il fatto che il Nepal rimane una società profondamente patriarcale: è l’avversione maschile alle mestruazioni che dovrebbe essere affrontata. Ma, spesso, gli uomini non hanno nemmeno idea delle condizioni in cui si trovano le capanne in cui sono confinate le donne. Si tratta fondamentalmente di stalle, destinate agli animali, che non proteggono dal freddo, e sono prive di servizi igienici e di cucine, sporche e pericolose.

In un rapporto del Dipartimento di Stato del 2015 sui diritti umani, è emerso che il 19% delle donne nepalesi di età compresa tra 15 e 49 anni pratica il chhaupadi: nei territori più poveri e remoti, la percentuale saliva al 50%.

L’ultimo caso conosciuto risale al 2 dicembre scorso, quando la 21enne Parbati Budha è stata trovata, senza vita, in una capanna di un villaggio di montagna, dalla sua famiglia. La temperatura era molto rigida, e lei aveva acceso un piccolo fuoco per scaldarsi: è morta per avere inalato il fumo, come è successo a tante altre donne confinate lontano da casa. Gli agenti della polizia locale si sono rifiutati di indagare sulla sua morte. Ma la crescente pressione degli attivisti ha costretto Agni Prasad, il procuratore generale del Nepal, ad avviare un’indagine. Le autorità hanno poi scoperto che era stato il cognato a costringere la donna a isolarsi nel capanno.

Lo smantellamento di pratiche profondamente radicate come il chhaupadi richiederebbe il coinvolgimento degli uomini. «Dato che nessuno parla ai ragazzi delle mestruazioni, loro finiscono interiorizzare il comportamento più consueto», ha spiegato Ashwin Karki, attivista di Amnesty International in Nepal. «In realtà, è una forma di violenza contro le donne. Le restrizioni imposte servono per dominarle e ridurre la loro autostima».