Autostrade, Atlantia alza la posta: niente soci se non cambia la legge
by Roberta AmorusoIl tempo stringe, almeno ufficialmente la revoca della concessione di Aspi - seppure decisamente improbabile - non è stata ancora esclusa dal governo, oggi riunito in un nuovo vertice ai massimi livelli sul tema. E mentre il governo sembra finalmente cercare le condizioni per uscire dall'impasse, Atlantia, la holding dei Benetton cui fa capo Autostrade, pianta i suoi paletti, almeno tre, sulla strada dell'accordo con l'esecutivo giallo-rosso. Anzitutto la modifica dell'articolo 35 del Milleproroghe che cancella buona parte dell'indennizzo da 23,5 miliardi previsto dalla convenzione in caso di revoca. Non solo. La holding non sembra affatto disposta a cedere il controllo di Aspi mantenendo una quota di minoranza per fare spazio alla cordata Cdp-F2i. Anzi, il fatto che Edizione, la finanziaria dei Benetton cui fa capo Atlantia, valuti l'idea di ridurre la sua partecipazione dal 30 al 20% circa a favore di un importante partner internazionale, viene considerato già un grande sacrificio. Infine, come tutte le trattative, anche questa non può prescindere dal prezzo. E in questo caso i valori in campo sono ancora molto lontani: se per Atlantia il 100% di Aspi vale non meno di 14-15 miliardi, per l'ingresso di soci pubblici il governo non la valuta più di 8-9 miliardi.
LE OPZIONI
Così si comprendono bene le parole di ieri dell'ad di Atlantia, Carlo Bertazzo. «Sappiamo bene che prima di cercare nuovi soci» per Aspi «è necessario venga ristabilita certezza normativa e regolatoria. Nessun entrerebbe mai in Aspi nelle attuali condizioni, se non per volontà diverse da quelle di un investitore di mercato e a prezzi lontani dal reale valore dell'azienda», ha dichiarato il manager all'Ansa con un riferimento evidente al peso del blitz di fine 2019, oltre che ai valori in ballo. «La nostra controllata Aspi ha un gap funding di 13 miliardi nei prossimi 6 anni, necessari per finanziare gli investimenti sulla rete e rimborsare i debiti in scadenza nel periodo». Ma nessuno presterà mai un euro ad Aspi, dice Bertazzo, «fino a che non viene modificato l'articolo 35 del Milleproroghe». E ancora: «Aspi non può e non vuole assumersi impegni che non sono finanziariamente realizzabili a causa di modifiche normative introdotte in modo unilaterale e retroattive. Sarebbe da irresponsabili». Dunque, solo se prima cambierà la norma si potrà parlare di nuovi soci. «C'è tutto il nostro interesse ad avere partner di minoranza di lungo periodo, nazionali e internazionali, che condividano con noi un progetto industriale», chiarisce l'ad: «Lo confermo anche oggi», dopo averlo già detto il 28 aprile scorso agli analisti.
Certo, uscire dall'impasse con il governo è sempre più una questione di sopravvivenza per Autostrade. Perché non ha più un rating da spendere per avere nuovi finanziamenti, dalle banche ma anche dal mercato. Perché, almeno ufficialmente, la revoca della concessione non è ancora esclusa. E perché l'articolo 35 del Milleproroghe, senza modifiche, cancella buona parte del maxi-indennizzo in caso di revoca. Peraltro, di là della modifica di legge introdotta del governo, Atlantia sa che entro il 30 giugno può ancora restituire la concessione potendo pretendere i 23,5 miliardi di indennizzo: certo, ne nascerebbe uno scontro legale epocale, uno scontro che l'Avvocatura di Stato ha sconsigliato al governo, ma a Ponzano Veneto la giudicano una carta ancora tutta da giocare. Va anche detto che l'eventuale revoca senza indennizzo, come ipotizza l'articolo 35, vuol dire il fallimento sicuro e il probabile default di gran parte della filiera di imprese fornitrici. «In caso di revoca della concessione», risponde infatti il cda di Atlantia agli azionisti in vista dell'assemblea di oggi, «tutti i creditori di Aspi potrebbero esercitare il recesso e chiedere la restituzione immediata di quanto prestato». E siccome la norma cambiata unilateralmente impedisce alla società di finanziarsi sul mercato, «Autostrade sarebbe tenuta a ripagare un ammontare ingenti di debiti senza averne la capienza». Va precisato che che in circolazione ci sono ben 9,6 miliardi di bond Aspi, di cui soltanto una parte (4,8 miliardi) garantiti dalla holding di controllo. Insomma, un crac di non meno di 5 miliardi che oltre ad avere effetti sui piccoli risparmiatori che vedrebbero fortemente ridotte le possibilità di rivedere il loro gruzzolo, metterebbe nei guai anche la filiera dei fornitori.