Uber commissariata per caporalato: «Rider sfruttati e minacciati». Ma l'azienda smentisce
«Quelli che bivaccano, che puzzano, che fanno cazz..., fuori dai cogl.... all'istante». Sono anche queste parole, riportate in una chat di uno degli indagati, a dare l'idea di quel «regime di sopraffazione» nei confronti di persone disposte a «tutto» pur di «sopravvivere» che ha portato il Tribunale di Milano a disporre, con un provvedimento mai preso prima non solo in Italia nei confronti di una piattaforma di delivery, il commissariamento di Uber Italy. Filiale italiana del gruppo americano che, secondo i giudici, avrebbe «consapevolmente» sfruttato i rider, i fattorini che fanno le consegne di cibo a domicilio, in diverse città italiane, da Milano a Monza, da Torino a Bologna, da Roma a Firenze e non solo.
Al centro delle indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano e coordinate dall'aggiunto Alessandra Dolci e dal pm Paolo Storari, c'è il servizio Uber Eats, gestito dalla società italiana che fa capo ad una holding olandese del gruppo Uber. E ci sono anche due società milanesi, la Frc e la Flash Road City, per le quali formalmente i rider lavoravano, anche se, scrive la Sezione misure di prevenzione (presieduta da Fabio Roia) che ha disposto l'amministrazione giudiziaria, Uber era «pienamente consapevole della situazione di sfruttamento» dei rider pagati «3 euro l'ora» e «puniti» anche togliendo loro le mance e parte dei compensi. Consapevolezza dimostrata, come si legge nelle 60 pagine del decreto, da conversazioni e chat tra i titolari delle due società e alcuni manager di Uber (cinque i nomi riportati), tutti indagati per «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro». Uber Eats in una nota ha spiegato di aver «messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo - ha aggiunto la società - ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia».
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Negli atti si leggono le dichiarazioni dei fattorini reclutati, come scrivono i giudici, anche in un «seminterrato» e soprattutto migranti «provenienti» da contesti di guerra, «richiedenti asilo» e persone che dimoravano in «centri di accoglienza temporanei» e in stato di bisogno. «La mia paga era sempre di 3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall'ora», ha messo a verbale uno di loro. E ciò anche se l'importo che vedevano sulla loro app era maggiore.
«Cottimo puro», scrive il Tribunale. E se i rider non rispettavano le «regole» (c'è un decalogo agli atti) e si lamentavano scattavano le punizioni, di cui, secondo i giudici, sarebbero stati al corrente anche i manager Uber (tra loro Marco Vita, «operations coordinator» nell'area di Milano) in contatto coi titolari delle società di intermediazione, parte, per i giudici, della «galassia» Uber. Società che, si legge sempre nel decreto, lavoravano soprattutto con le consegne di «panini McDonald's» sulla base di una «partnership» tra quest'ultima e Uber. «Insistevo per avere subito il denaro - ha raccontato un lavoratore - e da quel momento sono stato bloccato». Blocchi degli account, il cosiddetto «malus», ossia una cifra da «sottrarre» alla paga, e la sottrazione delle mance. Erano queste le punizioni e così, si legge ancora, un rider facendo «68 consegne» guadagnava «204 euro», dopo «turni massacranti». Poi, le intimidazioni ai fattorini: «Ho solo minacciato di venirti a rompere la testa e lo ribadisco (...) ti vengo a prendere a sberle, ti rompo il....».
E un lavoratore diceva: «Non ricordo di aver firmato nessun contratto». Ai titolari delle società intermediarie, tra l'altro, sono stati sequestrati oltre mezzo milione di euro in contanti. In un quadro di violazione di «tutte» le norme sul lavoro, la situazione, si legge nel provvedimento, si è addirittura aggravata con «l'emergenza sanitaria a seguito della quale l'utilizzo» dei fattorini «è progressivamente aumentato a causa della richiesta determinata dai restringimenti alla libertà di circolazione», tanto che «potrebbe aver provocato anche dei reclutamenti a valanga e non controllati».