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Palazzo della Triennale di Milano

La nuova sfida per musei e teatri: renderli diffusi e connessi

Per la rinascita dei centri urbani e non perdere la relazione con il pubblico è necessario creare un dialogo fra queste istituzioni e i cittadini attraverso modalità inedite

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E se offrissimo parti delle nostre piazze, oltre che ai ristoranti, anche alla cultura, ponendola come motore strategico per la rinascita dei nostri centri urbano? Se prima di poter visitare mostre o chiuderci in una sala concerti con i numeri di prima passerà tempo, intanto i musei e le istituzioni devono mantenere viva la relazione con il loro pubblico e devono anzi conquistarne uno nuovo, più ampio, locale e italiano che, all’indomani della pandemia si è scoperto vorace consumatore delle pillole digitali elargite da moltissime istituzioni.

L’obiettivo di musei e istituzioni non dovrebbe quindi limitarsi al mettere in campo strutture di protezione per la distanza e sistemi per l’igiene, ma aprirsi a progettare un palinsesto del tutto inedito di tempi, percorsi e modalità. Come contemporanei cantastorie nel tessuto della città, i musei, devono quindi portare fuori la ricchezza dei loro contenuti. Una sorta di«guerrilla-urbana», fatta di micro-interventi diffusi, performance, piccole installazioni, narrazioni che facciano scoprire il fascino dei tesori custoditi. I musei, piccoli o grandi, in questo senso potrebbero diventare da subito luoghi di riferimento nel loro intorno, facendo leva sulla selezione di singoli contenuti specifici da mettere in narrazione. L’eco di queste attività potrà poi nutrire la relazione con il pubblico internazionale, e ne aumenterà le aspettative per quando potrà tornare.

Viviamo in una delle nazioni a più alto tasso di «bellezza» artistica e architettonica, non lasciamo che le norme da sole disegnino le barriere tra noi, in nome della sicurezza e della paura, come più volte si è fatto dopo gli episodi di terrorismo. Non rompiamo quell’equilibrio unico di bellezza e armonia che regna nei nostri tessuti abitati per cui tutto il mondo ci ammira. Il mondo del progetto, gli architetti, i designer, devono essere coinvolti per trasformare queste criticità in opportunità. La psicologia della paura si vince con la fiducia.

Le nostre istituzioni culturali, i musei, le città devono mettere in campo una nuova ospitalità, un nuovo coinvolgimento comunicativo, emozionale, fisico. L’abitante, il visitatore, è ora al centro. Dobbiamo trovare un modello economicamente sostenibile per questi mesi, per tenere viva la nostra cultura. Dall’offerta digitale gratuita di esperienze virtuali dobbiamo passare all’offerta reale di esperienze culturali a livelli diversi. Tiriamo fuori il valore dei nostri quartieri come identità di ciò che hanno o possono offrire. Mettiamo in rete le parti, acquistiamo biglietti per una mostra che ci offra un caffè al bar vicino, che ci porti al negozio di fronte per vedere i nuovi prodotti, o alla libreria dell’angolo per ascoltare una lettura. Mettiamo in atto una nuova ospitalità: i vuoti e le distanze si devono caricare di contenuti; l’attesa diventare un crescendo di connessioni e conoscenze; non si può aspettare fuori da un museo come fuori da un supermercato, i percorsi dovranno essere molteplici e diversificati, pensati per tappe in successione dove i tasselli intermedi di micro mostre prepareranno alla vista delle opere centrali; la visita dovrà cominciare già fuori.

Il tempo, in tutti i suoi aspetti in tutte le sue forme, in sintesi, dovrà essere riprogettato. La città nel suo insieme dovrebbe, strutturarsi dunque in un puntiforme e ricco palinsesto di microeventi a bassa densità di persone. Un progetto ambizioso che dovrebbe vedere collaborazioni attive tra pubblico e privato.

Le idee

Pierluigi Battista ha avviato sul «Corriere» un dibattito sulla cultura in crisi, lanciando l’idea di un Fondo nazionale che la sostenga. Tutti gli interventi sono sucorriere.it/cultura