Recovery Fund, le regole Ue per avere i soldi: «Fondi per riforme, senza risultati rate sospese»

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Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni

Come funziona il principale strumento del Recovery Fund — il Recovery and resilience facility — che ha una dotazione totale di 560 miliardi di cui 310 trasferimenti a fondo perduto e 250 miliardi di prestiti a lungo termine a tassi molto agevolati? Lo hanno spiegato il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis e il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. Il punto centrale è questi fondi saranno vincolati alla realizzazione di riforme e di investimenti in linea con le priorità Ue (green, digitalizzazione, sostenibilità, inclusione sociale), nel rispetto delle indicazioni delle Raccomandazioni della Commissione e legate al Semestre europeo. All’Italia sono destinati 172,7 miliardi di euro, di cui 81,807 miliardi come aiuti a fondo perduto e 90,938 miliardi in prestiti. Uno Stato non potrà farne ciò che vuole con i fondi ma dovrà rispettare dei paletti. Tuttavia Gentiloni ha precisato che il Recovery and Resilience facility «non ha a che fare con condizionalità e intrusione di Bruxelles, è volontario, gli Stati membri si assumono la responsabilità della propria crescita» ma «certamente il sostegno delle sovvenzioni è legato all’attuazione con successo delle politiche». I fondi saranno trasferiti in tranche, legate ai target raggiunti.

Obiettivi da raggiungere e tranche

Come ha spiegato Dombrovskis, i fondi «arriveranno agli Stati membri in tranche legate agli obiettivi di riforma», che saranno stati indicati dagli Stati nel loro Piano nazionale e che dovranno di volta in volta centrare. Se gli Stati membri non rispettano «le priorità stabilite dall’Ue» e «non implementano gli obiettivi, perdono i soldi di una rata». I «milestones» (pietre miliari da superare) saranno però proposti dagli Stati membri, non dalla Commissione. «La nostra intenzione non è di farne un esercizio burocratico pesante», ha precisato Dombrovskis. Gentiloni ha spiegato che gli Stati che chiederanno il sostegno del Recovery Fund «dovranno presentare il piano nazionale di investimenti ad aprile ma possono anche presentarlo a ottobre con la bozza del programma di stabilità per poter valutare il tutto rapidamente, noi incoraggiamo i governi a procedere così». Il Piano nazionale sarà valutato da un comitato composto da esponenti degli Stati membri, ma l’ultima parola spetta alla Commissione.

La tempistica

I fondi andranno distribuiti il più velocemente possibile, per la Commissione almeno il 60% della sovvenzione dovrebbe essere impegnato legalmente entro la fine del 2022, mentre il resto entro la fine del 2024. Gentiloni ha poi insistito sul fatto che «non è uno strumento di salvataggio, per salvare un Paese o l’altro, ma, su base volontaria, uno strumento a disposizione di tutti gli Stati membri dell’Ue, non solo di quelli dell’Eurozona». Quindi non ci sono «le condizionalità annesse» che ricordano il salvataggio greco, non si tratta di «intrusioni» da parte dell’Ue: «Non è un programma di aggiustamento con un nome diverso», ma «è un altro strumento».

L’Italia e il taglio delle tasse

Sul fatto che l’Italia possa usare il Recovery Fund per abbassare le tasse, come ipotizzato mercoledì dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il commissario Gentiloni ha risposto che «spetta a ciascun Paese stabilire quali sono le priorità, e alla Commissione verificare che siano coerenti con un disegno complessivo, l’Italia farà le sue proposte e le valuteremo, è prematuro alzare bandierine su questo o quell’obiettivo». Ha però ricordato, citando implicitamente le Raccomandazioni, che Roma «deve utilizzare questa opportunità per concentrarsi su alcuni grandi obiettivi» come «la sostenibilità sociale, la modernizzazione del Paese», cioè rendendo più efficienti «burocrazia e giustizia civile», e per le «grandi transizioni verso il digitale e quella ecologica». Per Gentiloni l’Italia «ha l’occasione per costringere se stessa a concentrarsi su alcune priorità strategiche» ma soprattutto il Recovery Fund «è uno strumento per consentire ai Paesi alle prese con grandi emergenze di guardare al medio periodo, che sono le vere priorità, non solo rispondere alle necessità del momento».