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Trump vs. social, dalle parole ai fatti: in arrivo una legge per regolare i post

Per ora le aziende digitali non sono responsabili di quello che gli utenti pubblicano: Trump vuole che le autorità federali controllino i criteri di moderazione dei contenuti

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Dalle minacce ai fatti: Donald Trump oggi firmerà un ordine esecutivo che ha l’obiettivo di avviare la regolamentazione delle piattaforme delle reti sociali — principalmente quelle di Facebook, Twitter e Google — soprattutto per quanto riguarda la loro discrezionalità nell’eliminare dalle pagine degli utenti i contenuti ritenuti palesemente falsi od offensivi. L’obiettivo è quello di porre fine alla loro immunità rispetto a ciò che pubblicano: oggi sono inattaccabili sul piano giudiziario, domani potrebbero essere denunciate nei tribunali. Come e in base a quale interpretazioni delle leggi attuali si capirà oggi.

Ieri, dopo che Twitter era intervenuta su un post del presidente (relativo al voto postale, da lui giudicato fraudolento) per avvertire gli utenti che il suo contenuto poteva essere fuorviante, Trump aveva minacciato di «regolamentare o chiudere» le piattaforme dei social media. Ma chiudere non può, in base alle leggi Usa e alla Costituzione, mentre di regolamentazione «punitiva» parla da più di un anno, ma ha sempre lasciato la questione in sospeso. Stavolta, invece, sembra deciso ad andare fino in fondo.

Cosa può succedere? Un anno fa Trump aveva preparato una bozza di ordine esecutivo che attribuiva a due agenzie federali indipendenti — la FCC che sorveglia le comunicazioni e la FTC che dovrebbe evitare la formazione di eccessive concentrazioni di potere economico — poteri di polizia sui giganti della Silicon Valley. Il provvedimento non vide mai la luce per i dubbi circa la sua costituzionalità e per le resistenze delle due authority che non avevano una gran voglia di indossare i panni dei censori. Ora la Casa Bianca torna alla carica con un provvedimento che, secondo alcune indiscrezioni, ha la stessa struttura e gli stessi obiettivi, ma è stato costruito con maggiore prudenza. Con esso Trump inviterebbe le authority federali ad analizzare i modi in cui Twitter, Facebook e le aziende di Google (come YouTube) svolgono l’attività di moderazione dei contenuti che circolano sulle loro reti. E a punire chi, a suo avviso, mostra di avere un pregiudizio negativo nei confronti del presidente e della Casa Bianca.

Trump cerca di intimidire e si muove in una logica di vendetta, ma attacca quella che è un’anomalia reale del sistema giuridico: il Communications Decency Act, una legge del 1996 che nella sua sezione numero 230 garantisce alle aziende digitali l’immunità totale per tutto quello che gli utenti pubblicano sulle loro reti. Una condizione di enorme privilegio rispetto alla stampa, penalmente responsabile di tutto ciò che pubblica. Il Congresso gira attorno a questo nodo da anni senza riuscire a trovare una sintesi. Ora arriva Trump con la sua entrata a gamba tesa, decisa per sbarrare la strada ai suoi avversari politici. Ma in questo modo il presidente riapre anche i giochi su un problema reale: «Dobbiamo stabilire» dice (ora) il senatore repubblicano Marco Rubio, «se i grandi gruppi digitali si stanno comportando anche da editori. Se sì, non possono continuare ad essere esenti da regole».