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Xi impone la sua legge a Hong Kong. Ma Usa e Regno Unito: «Bastione di libertà»

Il testo della legge non è ancora noto. Ma Pechino ha deciso di scavalcare il Legislative Council di Hong Kong per imporre al territorio la sua stessa normativa sulla sicurezza nazionale. Trump promette sanzioni, Londra pensa all’asilo degli oppositori

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Xi Jinping ha schiacciato il bottone verde del voto a favore, imperturbabile sotto i flash dei fotografi. Lo hanno imitato 2.878 dei 2.885 delegati del Congresso del popolo riunito in Piazza Tienanmen. Ha seguito le regole della democrazia con caratteristiche cinesi il Partito-Stato, per varare la Legge sulla sicurezza nazionale cinese da imporre nella costituzione di Hong Kong. Astenuti 6 e 1 no. Votazione a scrutinio segreto. Chissà chi è stato l’unico delegato comunista contrario e da chi era composta la pattuglia degli astenuti, i quali hanno salvato la consultazione dall’unanimità (detta un tempo consenso bulgaro).

Il testo della legge non è ancora noto: sarà varato a settembre, pare. Il senso politico è già chiaro: Pechino ha deciso di scavalcare il Legislative Council di Hong Kong per imporre al territorio la sua stessa normativa sulla sicurezza nazionale. La Cina, che ha il culto della «stabilità», non tollera sul suo territorio alcuna manifestazione di dissenso, organizzato o individuale. La polizia segreta previene, quella comune reprime, ogni tentativo di manifestare opinioni contrarie a quelle del governo. Al momento conosciamo lo scopo della Legge sulla sicurezza nazionale cinese che entrerà in vigore a Hong Kong: «Prevenire attività separatiste, sovversive contro il potere statale, terroristiche, l’ingerenza straniera o influenze dall’esterno». Le pene restano indeterminate.

Pechino ha presentato il guscio della legge, tenendone indefinito il contenuto. È come mostrare lo scudo e celare la spada.

Circolano indiscrezioni su alcuni dettagli del testo. Inquietante quella secondo il quale i giudici internazionali della «Court of final appeal» di Hong Kong, la sua corte di ultima istanza, sarebbero esclusi dai futuri processi in materia di sicurezza nazionale. Sono 15 su 23 nella City: britannici, canadesi e australiani. La forza della semi-autonomia e quasi-democrazia di Hong Kong è proprio nel suo sistema di «common law» lasciato in eredità dal Regno Unito e nella separazione dei poteri. Escludendo dal giudizio in tema di sicurezza i togati stranieri, Pechino avrebbe mano libera per sedare le proteste a Hong Kong. Il Politburo di Pechino è scandalizzato per il fatto che solo 1.400 degli 8.500 arrestati nei disordini dell’anno scorso a Hong Kong sono stati incriminati (per i reati specifici e minori di violenza o manifestazione illegale) e appena 60 sono stati condannati. In Cina i tribunali condannano il 96% degli imputati.

Che cosa succederà se l’analista di una banca americana nella City hongkonghese scrivesse un rapporto negativo su un’azienda statale cinese? Attenterebbe alla sicurezza nazionale e sarebbe processato? «La stragrande maggioranza dei residenti di Hong Kong rispettosi della legge non hanno nulla da temere», assicura il governo.

Washington ha detto che questa legge seppellisce «l’autonomia di Hong Kong da Pechino» e cancella il modello di convivenza «Un Paese due sistemi». Donald Trump prepara sanzioni. Ieri anche Gran Bretagna, Australia e Canada hanno condannato la mossa di Pechino contro la città «bastione di libertà». Londra promette di dare la cittadinanza a 315 mila hongkonghesi, se vorranno andarsene: segno di impotenza.

Commenta il direttore del Global Times, nazional-comunista, Hu Xijin: «Questa America è narcisista e arrogante. Trump pensa di far sbarcare i soldati americani a Hong Kong? Sennò, la sua “forte reazione” sarà solo l’ennesimo bluff».