La crisi degli strumenti musicali: «il 40% dei negozi rischia di chiudere»

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I negozi di strumenti musicali rischiano di essere travolti dalla crisi del Corona Virus. Oggi in Italia ce ne sono 930. Quindici anni fa erano 1340. Una flessione determinata della concorrenza delle vendite on line e dalla crisi del 2008. La pandemia ha colto impreparati questi negozi, con una associazione di categoria non in grado di tutelarli in sede politica.

Così uno dei distributori storici di strumenti musicali, Claudio Formisano, ha cercato di dare loro supporto tramite la confederazione Cafim di cui è referente per il mercato Italiano. Cafim sta per Confederazione Europea dei produttori di strumenti Musicali. «Purtroppo — spiega Formisani — nel nostro paese il 20% delle imprese non usa ancora internet, molti negozi di musica non sono attrezzati e aggiornati sufficientemente per vendere via internet e questo favorisce gli e-commerce europei molto agguerriti che ci invadono quotidianamente. I distributori italiani stoccano nei magazzini milioni di Euro di strumenti invenduti, mentre il 40% dei negozi di strumenti musicali rischia di chiudere per l’interruzione forzata a cui sono stati sottoposti dallo scorso marzo e alla contemporanea soppressione, fino a fine anno, della musica dal vivo, dei concerti, dei festival, delle feste di piazza dei piccoli e medi complessi, e orchestrine e bloccando tutto il mondo del noleggio di strumenti e amplificazione, microfoni e tutto il resto per eventi, dai congressi alle feste di matrimonio. Ci sono musicisti professionisti costretti a fare i rider, gli accordatori (AIARP ) 150 professionisti che rischiano di non avere futuro…..»

Il fatturato italiano degli strumenti musicali è di 350 milioni di Euro in Inghilterra 530, in Francia 680, in Germania un miliardo. Questo perché l’Italia non ha mai brillato sul fronte della valorizzazione della musica come elemento formativo nell’ambito scolastico, vista più spesso come un “non lavoro” o come un momento essenzialmente ludico. Spiega ancora Formisano: «La situazione del mercato degli strumenti musicali era molto migliorata anche grazie alla riforma Gelmini che aveva visto finalmente nascere le scuole medie e licei a indirizzo musicale colmando così una lacuna che durava da anni, anche a fronte delle aumentate richieste di studenti, famiglie e degli stessi insegnati di musica, ma la crisi del 2008 negli anni successivi ha eroso anno dopo anno questo slancio iniziale». Lo strumento più acquistato è ancora la chitarra che da sola costituisce il 10% del fatturato (che può costare da 30 euro a 30 mila) seguita dalle tastiere. La liuteria e cresciuta progressivamente grazie anche alle iniziative di Claudio Abbado che con grande passione e dedizione ha promosso per anni il metodo Abreu ora molto diffuso nelle scuole italiane. «Ma in tutti i casi — prosegue Formisano — la musica la troviamo ovunque: nel cinema, nei teatri, nei musei, dove c’è danza o teatro c’è sempre musica. Eppure lo strumento e chi lo commercia non rientrano nel FUS (Fondo Unico per lo spettacolo) e mi sembra molto ingiusto».

Ora i negozianti chiedono al governo un contributo pari al 25% del fatturato dello scorso anno da versare entro luglio. Un provvedimento che consentirebbe ai rivenditori di restare sul mercato. «Stiamo chiedendo 75 milioni, ne hanno trovati 120 per i monopattini elettrici, hanno trovato rimedi per gli spettacoli circensi. Possibile che il mondo degli strumenti musicali per questo Paese proprio non esista? Eppure alla Camera e al Senato usano un microfono…»