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Andreotti, Sordi e mio nonno in quel vecchio elenco del telefono del 1946: quando non c’era paura di pubblicare il proprio numero e indirizzo

Un librone sfilacciato che risale al 1946-47: il ritratto di un Paese in un frammento di storia prezioso e il gioco sottile della memoria

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C’erano pochi telefoni, in quella Roma piccola e stravolta del 1946. I numeri erano di cinque o sei cifre, di più non servivano. Da poco i bombardamenti erano cessati e l’Italia era stata liberata. La paura era finita e la vita tornava a sembrare luminosa. Faticosa, ma luminosa. C’era una incredibile voglia di ripresa.

Lo confermano le infinite inserzioni pubblicitarie di negozi e servizi vari che, fin dalla copertina, compaiono sulle pagine di questo elenco del telefono del 1946/47 pubblicato dalla Teti per gli utenti di Roma che la meraviglia della rete, come luogo di scambio e condivisione, ha portato sul mio tavolo.

Chissà chi lo ha avuto per primo, chissà in quante mani è passato questo librone sfibrato dal tempo ma nitido nel suo contenuto che, per qualcuno, evidentemente costituiva un inutile ingombro e per me è, invece, un frammento di storia non vissuta. Non vissuta, ma strepitosamente presente nella mia vita.

Quegli anni sono quelli della rinascita di un paese ferito e diviso che trova dentro di sé la forza di ripartire e che in quindici anni farà dell’Italia una potenza mondiale. Era una Roma più piccola, non ancora segnata dall’immigrazione degli anni dello sviluppo e dalle spregiudicate avventure urbanistiche dei quartieri nati alla rinfusa, sparsi sull’enorme territorio della capitale senza un ordine. O meglio con la pura logica del profitto e della speculazione che impediva di pensare, non dico di adottare, un piano regolatore generale della città. La città di questo elenco è grande come l’attuale nozione di città storica. Le pubblicità sulla copertina sono di negozi di “manufatti canapa e cordami”di Piazza Farnese o di medici come il professor Massione che cura “orecchio naso e gola” in via Nazionale.

Ma quello che colpisce è trovare, nelle migliaia di cognomi organizzati in rigido ordine alfabetico, molti dei protagonisti della storia politica e culturale del Novecento. Allora non si aveva paura di mettere il proprio numero e il proprio indirizzo sull’elenco, alla mercé di tutti, perché la democrazia e la libertà erano così belle ed erano state così faticosamente conquistate che si pensava nessuno ne avrebbe più abusato. C’erano stati abbastanza odio e abbastanza violenza per pensare che qualcuno volesse ancora continuare.

Sarà proprio l’emergere di una nuova stagione di violenza politica , negli anni Settanta, a far interrompere la pubblicazione degli elenchi stradali, quelli che raggruppavano gli abitanti non in ordine alfabetico ma per nomi di strade e numeri civici. La possibile reperibilità dei bersagli della violenza spinse a cancellare quella pubblicazione, storicamente utilissima. Negli elenchi del passato , un gioco sottile della memoria, ciascuno può ritrovare amici dimenticati, negozi ormai chiusi, numeri che accendono la memoria. Perché un tempo li si imparava a memoria, non si chiedeva a Siri.

Nell’elenco del 1946/47 si trovano molte sorprese. Così Andreotti on. Giulio, che proprio nel ‘47 sarebbe diventato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, risulta risiedere in via Salaria 422 e rispondere al 881-357. Umberto Terracini, che nel Febbraio 1947 diventa presidente dell’Assemblea Costituente, abita in Via Pavia 4 con il numero 490-917. Giuseppe Di Vittorio segretario della Cgil e deputato della Costituente, risiede in Via Paulucci de’ Calboli 8, vicino a Piazza Mazzini, e ha un numero di cinque cifre 30-523. Ugo La Malfa è in via Monte Nevoso 2 al 891-140, il futuro presidente della Repubblica Giovanni Gronchi è in via Fea 7 con il numero 841-847. C’è, senza problemi, la moglie del Presidente del Consiglio, Francesca Romani De Gasperi in via Bonifacio VIII al 54-308.

Non compaiono invece Nenni, Saragat e Togliatti. Almirante è rintracciabile col nome del padre Mario, attore famoso del tempo, in via Livorno 20 al 869-469. Per il resto non c’è traccia dei gerarchi fascisti, e neanche dei protagonisti dell’ordine del giorno che mise fine al regime. Non c’è Grandi, non c’è Bottai.

Sono molti i personaggi del mondo della cultura che lasceranno un segno nelle nostre vite i cui nomi sono stampati su queste pagine. Federico Fellini, che allora faceva fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, abitava in Via Nicotera 26 e, quando Sordi lo chiamava, rispondeva al 32-834. Alberto Sordi, anche lui alla ricerca in quei tempi della luce giusta, è registrato in via dei Pettinari 26 al numero 563-206. Alberto Moravia viveva vicino a Villa Borghese, in via Sgambati 9, dove oggi c’è l’albergo Villa Borghese completamente distrutto, e aveva il numero 859-204. Vittorio de Sica non risulta, ma compare invece Cesare Zavattini domiciliato in via Sant’Angela Merici 40, numero 880-864.

Ci sono anche i protagonisti di fatti di cronaca a venire, come il marchese Casati Stampa di Soncino, morto suicida dopo aver ucciso moglie e amante in un palazzo di via Puccini, che allora abitava a via IV Fontane 13 e aveva il numero 40-684.

Una considerazione personale. C’è anche il nome e l’indirizzo di mio nonno Cyril Kotnik ,che abitava in via Salaria 72 e aveva il numero 862-571. In quell’appartamento fu preso dai nazisti e poi torturato a Via Tasso. Nell’elenco, diverse pagine dopo, c’è anche il nome e il telefono della persona in camicia nera che lo denunciò per cinquemila lire, come usava fare in quel tempo.

Ho cercato poi i nomi degli ebrei deportati dal ghetto il 16 ottobre del 1943. Non ci sono. La loro assenza rende questo vecchio elenco la minuta testimonianza di un tempo di passaggio, carico di dolore e pieno di sogni e di speranze.