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Coronavirus in Corea del Sud, nuovo picco di contagi. Seul richiude

Si inceppa il modello «traccia, testa, cura»: un focolaio in un magazzino merci porta a «sigillare» l’area metropolitana dove vive metà degli abitanti del Paese

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«Traccia, testa e cura». Doveva essere la chiave del successo sudcoreano nella lotta al Covid-19: una app scaricata sui telefonini, la collaborazione dei cittadini nell’inserire i propri dati sensibili, e la rapidità nel fare tamponi ogni qual volta scattava un allarme.

Eppure Seul si è ritrovata — per la seconda volta — a fare marcia indietro dopo l’allentamento delle restrizioni. Il governo ha deciso di richiudere l’intera area metropolitana della capitale, dove vive circa la metà dei 52 milioni di abitanti del Paese. Da oggi e almeno fino al 14 giugno, musei, parchi e cinema saranno di nuovo serrati. Mentre le aziende sono state invitate a ripristinare e favorire il lavoro a distanza.

Tutto per un nuovo, drammatico quanto inaspettato picco nei contagi. Ieri sono stati registrati 79 casi, per un totale nazionale di 11.344 con 269 decessi, contro gli 81 del 5 aprile. Numeri sempre molto bassi. Ma occorre considerare l’impegno collettivo dei sudcoreani che in questi mesi hanno agito con grande efficacia, rispettando (quasi) alla lettera le norme sul distanziamento sociale. La prima riapertura era stata «macchiata» da un focolaio partito dai locali della movida di Itaewon, a Seul: tutto risolto — nonostante l’imbarazzo — in una decina di giorni con 261 contagi complessivi.

Ieri è stato invece scoperta una nuova fonte virale non in una discoteca ma in un magazzino per lo stoccaggio di merci della società di ecommerce Coupang a Bucheon, nell’ovest della sterminata periferia di Seul. Oltre 4 mila tra lavoratori e visitatori sono immediatamente finiti in autoisolamento, mentre secondo il vice ministro della Salute, Kim Gang-lip, l’80 per cento dei possibili contagiati è già stato sottoposto al test sulla positività al virus.

«Le prossime due settimane saranno cruciali per il contenimento dell’epidemia», ha aggiunto il ministro della Salute Park Neung-hoo senza nascondere la forte preoccupazione per l’improviso picco, il più grave in 50 giorni: secondo gli esperti sudcoreani, la malattia è sempre più difficili da individuare.

Resta il fatto che la Corea del Sud è stata internazionalmente considerata un modello nella lotta al Covid-19 e, almeno fino a ieri, tutto sembrava darle ragione: nessun nuovo caso e curve a picco. Ma non appena le restrizioni si sono sollevate, ecco un nuovo problema. E nemmeno dovuto all’«imprudenza» di inizio maggio, quando folle di giovani si sono riversate nelle strade del divertimento a Seul, spinte evidentemente, come i loro coetanei occidentali, dal bisogno di «socializzare» dopo settimane di isolamento coatto. Considerato che agli inizi di marzo erano segnalati 500 nuovi casi al giorno, il lavoro fatto con gli strumenti digitali di un Paese iper connesso e la tradizionale capacità di seguire le regole dei sudcoreani è apparso a tutti efficace. Tanto che la macchina industriale aveva soltanto rallentato la sua corsa (quest’anno a fronte di un Pil che sarebbe dovuto crescere del 2,1%, le previsioni indicano una contrazione dello 0,2). Gli studenti erano tornati a scuola già la settimana scorsa. Mentre chiese e templi avevano riaperto i battenti ai fedeli e i campionati di calcio e baseball erano tornati a divertire, seppure a porte chiuse. Ora il governo dovrà decidere cosa fare: il modello Corea si è ingrippato.