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La didattica a distanza non s’improvvisa. Anche i professori vanno a lezione

Più di 2.500 partecipanti dalle università di tutta Italia al ciclo di lezioni online promosse dalla Crui

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Ma chi insegna, agli insegnanti, la didattica a distanza? Domanda non secondaria in epoca di coronavirus. Una delle risposte è nel ciclo di seminari online promossi dalla Graduate School of Business del Politecnico di Milano (Mip) e Fondazione Crui e dedicati appunto alla didattica digitale, una modalità di insegnamento che per moltissimi aspetti è totalmente diversa da quella tradizionale e che, al netto della dimestichezza o meno con la tecnologia, non si improvvisa, almeno se si vuole essere efficaci. La risposta degli accademici, ovvero il seguito che hanno avuto questi webinar, è stata una sorpresa: più di 2.500 partecipanti dalle università di tutta Italia, in particolare ricercatori e professori ordinari e associati ma anche delegati del rettore alla didattica che, per molti aspetti, ripartivano dalle basi, come hanno svelato le domande più frequenti: quali sono le piattaforme migliori? Come si tiene alta l’attenzione dello studente? Posso condividere un testo o un video online o nascono questioni di proprietà intellettuale?

Non è solo questione di tecnologia

L’emergenza sanitaria ha fatto scoprire a molti, o spinto a implementare, nuove modalità di formazione online. Modalità che all’estero, in effetti, sono molto più sviluppate (sono circa 100 mila gli studenti iscritti a università telematiche in Italia, il 5,5% del totale) ma che necessariamente anche qui sono destinare a diventare se non sostitutive almeno complementari alla didattica tradizionale in presenza. Ecco così l’idea di sviluppare corsi specifici per gli chi insegna, partendo dalla consapevolezza che, in Italia, la maggior parte degli atenei sono pubblici e che le risorse sono limitate, e che quindi è necessario sfruttare al meglio gli strumenti subito disponibili per poter essere operativi nell’immediato e per la ripresa di settembre: «Fare didattica online non è solo una questione di tecnologia o scelta di piattaforme - spiega Paolo Taticchi, professore della Business School dell’Imperial College di Londra e promotore dell’iniziativa -, bisogna ripensare l’approccio formativo e conoscere metodi e strumenti didattici digitali».

Gli errori più comuni

Il ciclo di 4 incontri, gratuiti, dal 29 aprile al 22 maggio, è stato perciò incentrato sia sugli strumenti da utilizzare sul piano tecnico sia sul come insegnare. Relatori, oltre a Taticchi, Tommaso Agasisti e Federico Frattini del Politecnico di Milano, Paolo Aversa (University of London), Giacomo Carli (Open University, Inghilterra) e Donatella Taurasi (University of California). L’errore più comune è pensare di essere in classe. «Non si può traslare online la lezione in presenza, non si può pensare di tenere un discorso o una lezione di 4 ore, non funziona - spiega Taticchi -. Per garantire l’engagement, il coinvolgimento degli alunni, in una lezione di 2 ore si potranno fare pause ogni 15 minuti, magari cominciare con un’introduzione e poi nel secondo blocco proseguire con una chat, e poi nel terzo cambiare ancora strumento: esempi per dire che, se si vuole essere efficaci, ci sono nuove modalità da sviluppare». E’ questo, più che quello anagrafico, il vero limite riscontrato nei professori italiani, che probabilmente devono ancora migliorare nell’utilizzare al meglio le diverse pedagogie. In occasione del webinar «La didattica online sincrona» del 22 maggio, del resto, il 60% di intervistati ha dichiarato di essersi avvicinato da poco, e per esigenze improrogabili, alla didattica sincrona, mentre il 45% ha affermato di non avere avuto esperienza con la didattica asincrona. «I cambiamenti in corso nella formazione universitaria e post-universitaria, in particolare quella manageriale - aggiunge Federico Frattini - richiederanno a università e business school profonde riflessioni e una decisa spinta sugli investimenti nell’implementazione di strumenti digitali nei loro percorsi formativi».