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«A Monument for the Anxious and Hopful», installazione «interattiva» dell’artista americana Candy Chang, in collaborazione con l’autore James A. Reeves (2018)

Scrittura a pranzo e a cena: le lezioni di Vanni Santoni per aspiranti autori

Il narratore firma per minimum fax «La scrittura non si insegna», un manuale semiserio fitto di serissime indicazioni: una dieta di lettura e disciplina

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Non è difficile trovare un buon saggio sull’arte di scrivere. Difficile è trovarne uno che, oltre a rivolgersi agli aspiranti scrittori, rappresenti una lettura godibile e utile (sì, utile) anche per chi già scrive o per chi non si è mai sognato di prendere la penna in mano, ma ama la letteratura; non tanto un manuale di tecniche ma un «saggio personale» sulla scrittura, anzi on writing, titolo di un celebre libro di Stephen King diventato cult, e non solo tra gli addetti ai lavori.

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«La scrittura non si insegna» di Vanni Santoni è edito da minimum fax (pp. 100, euro 13)

Ricade in questa categoria felice il nuovo libro di Vanni Santoni, scrittore, editor, insegnante di scrittura nonché autore attivo sui social e nel mondo letterario: La scrittura non si insegna, uscito per minimum fax. Il saggio chiarisce fin dall’esergo, con una battuta di Julio Cortázar intervistato da Mario Vargas Llosa, che pretendere da un «maestro» istruzioni in materia di scrittura meriterebbe una risposta zen, un provocatorio «colpo di sedia» sulla testa. Non si può insegnare a scrivere, sostiene Santoni, o pensare che scrivere consista solo nell’utilizzare tecniche che pure si possono imparare (struttura, climax, conflitto...): la letteratura è più di questo, non c’è una struttura buona per ogni romanzo, anzi proprio il genere romanzesco ha esplorato infinite possibilità. Quel che si può fare, sostiene l’autore, è insegnare a «essere uno scrittore».

La missione dunque è questa: insegnare non a scrivere ma a diventare scrittori. Se da una parte il metodo di Santoni sembra offrire sulla carta poche, precise e circostanziate regole, dall’altra il saggio comincia, prima in modo impercettibile poi in crescendo, a «scantonare» dalla lineare enunciazione delle prescrizioni, fino a trasformarsi in un corpo vivo, con scarti e moltiplicazioni esponenziali dei percorsi possibili. Come? Semplice: a pagina 9, in calce al testo, compare la prima nota. In capo a 100 pagine le note diventeranno 109.

Tra il testo e l’apparato delle note — anzi chiamiamolo controcanto o addirittura sottotesto — Santoni crea un dialogo serrato, come se a impartire la lezione di scrittura fossero in realtà due voci, l’una più paludata e ferma nel perseguire l’obiettivo dell’insegnamento, l’altra di volta in volta ironica, o comica, o incline alla divagazione, oppure dotta, o utilmente pedante, talvolta confidenziale e perfino ammiccante.

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Vanni Santoni (Montevarchi, Arezzo, 1978)

Un esempio. Nel saggio, il capitolo numero uno è dedicato alla prima regola per diventare scrittori, la «Dieta»: un regime non alimentare ma librario, perché per essere autori bisogna per prima cosa essere lettori. Ma lettori di che cosa? Santoni propone una prima lista di titoli d’obbligo, l’Ulisse di James Joyce e la Recherche di Marcel Proust solo come antipasto, e poi un’altra lista, e un’altra ancora più smisurata, decine di tomi giganteschi come Infinite Jest di David Foster Wallace o 2666 di Roberto Bolaño, per ottenere «una consapevolezza improvvisa delle vertiginose possibilità del romanzo». E quando arriva a L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, ecco spuntare nella nota, comico, il sottotesto sul pantagruelico romanzo: «Affettuosamente definito da una mia studentessa “il mostro finale”»; cui segue il racconto di un aneddoto in materia.

Oppure. Nel capitolo fondamentale del saggio, sulla «Disciplina», Santoni spiega come e perché uno scrittore debba costringersi a scrivere tutti i giorni. E quando si spinge a promettere che seguendo la regola l’allievo riuscirà davvero a finire un romanzo, arriva la nota: «Considerala pure una formula “soddisfatti o rimborsati”». Anche se ci sarà magari da buttar via metà del lavoro, aggiunge (e in nota ecco l’avviso: «Mettilo in conto»).

Le note «parlano», raccontano curiosità appena accennate nel testo («Kurt Vonnegut notoriamente sconsigliava l’uso del punto e virgola...»), precisano bibliografie («Per approfondire il tema si può leggere...») oppure riformulano la regola considerando variabili impreviste, comuni in letteratura («Non vorrei però che, arrivato a questo punto, pensassi che...»).

Così le lezioni, che proseguono con capitoli intitolati «Prima cosa da non fare», «Seconda cosa da non fare», fino all’«Ostensione (e pubblicazione)», si dilatano tra testo e note, si allargano in rivoli, in anse di fiume, in percorsi curiosi, l’obbligatorio e il facoltativo, fino ad avvicinare il lettore e a coinvolgerlo in un dialogo aperto. Mostrando a chi ama leggere, non solo ai futuri scrittori, quanto vasta e varia sia la possibilità di raccontare storie, e storie nelle storie: proprio come fa l’oggetto di cui si parla, il romanzo. Magari appioppando a sorpresa, nel bel mezzo di una nota dall’aria amichevole, qualche altro compito per l’aspirante o un nuovo tomo da leggere, come farebbe un affettuoso e puntiglioso docente dal vivo, in carne e ossa.

L’autore

Vanni Santoni, dopo l’esordio con Personaggi precari (Rgb, 2007), ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), la trilogia di Terra ignota (Mondadori 2013-2017), per Laterza Muro di casse (2015) e La stanza profonda (2017), I fratelli Michelangelo (Mondadori, 2019). Per minimum fax ha coordinato il romanzo collettivo In territorio nemico (2013). Collabora con il «Corriere».