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Lance Armstrong il documentario, la regista: «A lui non è piaciuto. Una sorpresa le lacrime per Ullrich»

L’autrice di Lance: «Giravamo solo dopo che si era allenato. Non ha apprezzato la parte che descrive la sua caduta. Mi dispiace che il dottor Ferrari non abbia voluto partecipare»

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A due anni dalla chiusura dell’ultimo processo a suo carico e dopo che sulla sua parabola sportiva sono stati prodotti film (il più noto è «The Program» di Stephen Frears con Ben Foster), decine di libri e migliaia di articoli, Lance Armstrong torna alla ribalta grazia a Espn, la catena tv Usa che ha prodotto e sta diffondendo un docufilm (due puntate, tre ore e 15’ complessive di visione) sulla carriera del ciclista vincitore di sette Tour de France, tutti revocati per doping. Il documentario (che arriverà a breve anche in Italia, probabilmente su Netflix) fa parte della serie «30 for 30»: trenta approfondimenti dedicati ad altrettanti personaggi o storie dello sport americano, da Cassius Clay a Marion Jones. Figlia dell’ex governatore della California George Zenovich, Marina Zenovich, autrice e regista di «Lance», è specializzata in documentari biografici: ha vinto due Emmy Awards per «Roman Polanski: Wanted and Desired» e altri riconoscimenti per «Robin Williams: Come Inside My Mind». Racconta la sua esperienza in esclusiva al Corriere.

Marina Zenovich, perché tornare a parlare di Lance Armstrong?
«Espn me l’ha chiesto probabilmente perché avevo già lavorato su personaggi complessi come Polanski e Williams, che tra l’altro di Armstrong era molto amico. Negli anni Novanta avevo anche girato un documentario su Bernard Tapie, il controverso magnate dello sport francese».

Qual è l’interesse di tornare a parlare di Lance?
«Siamo partiti dal presupposto che, anni dopo la confessione in tv da Oprah Winfrey e la fine dei suoi guai giudiziari, Lance potesse aver maturato una visione più serena della sua carriera. Per me è stato il primo film con un personaggio in presenza: ho lavorato su Robin Williams dopo la sua morte, Polanski non ha mai voluto incontrarmi».

Lance ha accettato subito?
«No, ci ha pensato a lungo come ci ho pensato io. Abbiamo avuto un incontro preliminare, stabilito i termini e poi deciso di procedere».

Quali sono stati i termini?
«Lance non ha ricevuto un solo dollaro, se questa è la questione. Non ha avuto la possibilità di accedere alle domande prima che le formulassi, non ha rivisto il “girato” e non aveva potere di approvazione sul prodotto finale».

Quanto avete lavorato al documentario?
«Diciotto mesi di lavorazione con decine di incontri con lui e gli altri protagonisti. Ne abbiamo incontrati tantissimi di testimoni, ho archiviato senza purtroppo utilizzarle centinaia di ore di conversazione. Con ciclisti come Ivan Basso o Christophe Bassons ho dialogato a lungo, mantenendo alla fine nel film, purtroppo, solo poche decine di secondi a testa nel film: il materiale era enorme».

Le prime scene con Lance?
«Pessime. Da buttare. Era ingestibile. Poi il mio co-regista ha avuto l’idea vincente».

Ovvero?
«Girando un documentario sul mondo del ballo aveva capito che tanti atleti/performer devono andare davanti alla macchina da presa dopo allenamenti molto duri: solo così viene fuori il personaggio. Con Lance abbiamo registrato solo quando lui aveva terminato uno dei suoi work-out quotidiani, adeguandoci sempre al suo programma del giorno: un inseguimento continuo».

C’è una scena molto bella, molto animalesca. Lance si tuffa in una piscina all’aperto sotto il diluvio, nuota come un ossesso poi, sempre in costume da bagno, sale in macchina e torna a casa.
«Era una di quelle sequenze girate al volo. Quella mattina voleva a tutti i costi nuotare, noi l’abbiamo seguito facendogli le domande in automobile e poi a bordo vasca tra una ripetuta e un’altra. Il problema di rivestirsi per tornare a casa non se l’è posto».

C’è qualche domanda a cui non ha voluto rispondere?
«Nessuna. Ha risposto a tutte, a modo suo ovviamente».

Si è commosso parlando di Jan Ullrich, nessuno l’aveva mai visto piangere.
«Non immaginavo che sarebbe successo. Quel giorno Lance aveva fretta e ci ha concesso solo dieci minuti per filmare. L’argomento doveva essere un altro, ma non c’era tempo e ne ho approfittato per chiedergli del suo ex grande rivale caduto anche lui in disgrazia. Non immaginavo si sciogliesse in quel mondo. L’incontro con Ullrich nel centro di riabilitazione in Germania (il tedesco è stato arrestato per spaccio e rissa) deve essere stata scioccante. In realtà…».

In realtà?
«Credo che Lance in Ullrich veda se stesso e che abbia pianto per quello che è successo a lui più che all’amico».

Perché non avete coinvolto Ullrich?
«Perché Jan è in un momento delicato della sua vita e non mi sembrava proprio il caso di disturbarlo».

C’è qualcuno che ha rifiutato di testimoniare?
«Il dottor Michele Ferrari, l’uomo che ha trasformato le prestazioni di Lance, che avrei tanto voluto avere nel film. Ci ho provato a lungo ma nulla da fare. Poi due ex allenatori e direttori sportivi di Lance, Chris Carmichael e Jim Ochowicz, hanno rifiutato credo per paura di conseguenze legali o perché lavorano entrambi ancora nel ciclismo. Hanno detto no anche l’ex ciclista Frankie Andreu, che lo denunciò per primo assieme alla moglie, e Greg Lemond, il mito del ciclismo Usa che molto presto prese le distanze da lui (in realtà compaiono entrambi ma in immagini di repertorio, ndr)».

Nel film c’è molto spazio per i due principali accusatori di Armstrong: gli ex ciclisti Floyd Landis e Tyler Hamilton che svelarono come ci si dopava alla Us Postal. Al contrario di chi l’ha denunciato per primo, è evidente che Lance odi ancora profondamente entrambi.
«Ho trovato pacati e straordinariamente interessanti sia Floyd che Tyler. La loro ricostruzione è cruciale anche dal punto di vista umano. A posteriori — e da persona che non segue assiduamente lo sport — mi chiedo come sia possibile che uno come Lance abbia messo in piedi un simile castello di menzogne senza pensare che nessuno gli si sarebbe mai rivoltato contro, che prima o poi sarebbe crollato tutto e lui si sarebbe fatto molto male».

Lance Armstrong ha un futuro?
«Lance ha solo 48 anni. Gestisce un podcast, si occupa di iniziative di beneficenza, fa investimenti, ha una famiglia finalmente riconciliata. Non può fermarsi qui».

A lui il film è piaciuto?
«L’abbiamo visto assieme in una proiezione privata in Texas. La prima parte mi sembra gli sia piaciuta. La seconda, quella della “caduta”, credo di no. Vede, da quel giorno non ci siamo più sentiti. Io sono soddisfatta del mio lavoro».