Turismo, gli agenti in piazza a Milano: «Sfuma l’80% di fatturato. Con noi crolla parte del Paese»
Chi ha riaperto, sta gestendo solo annullamenti. Gli altri, agenzie viaggi e tour operator della Lombardia, sono ancora chiusi: nessuna proposta certa da offrire ai clienti, richieste di prenotazione, previsioni di arrivi o partenze
by Stefania ChialeChi ha riaperto, sta gestendo solo annullamenti. Gli altri, agenzie viaggi e tour operator della Lombardia, sono ancora chiusi: nessuna proposta certa da offrire ai clienti, richieste di prenotazione, previsioni di arrivi o partenze. Con i guadagni azzerati da febbraio, il lavoro pregresso annullato, i tre mesi di lockdown e una riapertura che non equivale alla ripresa dell’attività, il 2020 del turismo organizzato si chiuderà, a voler essere ottimisti, con un calo di fatturato dell’80 per cento. «Abbiamo chiesto 750 milioni per cercare di sopravvivere. Nel decreto Rilancio ne hanno previsti 25. Siamo 12 mila aziende in Italia: se non stanziano almeno 500 milioni, il turismo organizzato muore. Abbiamo paura: se non ci aiutano, questa volta è davvero finita. E se muore il turismo organizzato, muore una fetta del Paese». Non usa mezzi termini Marcello Formoso, titolare di un’agenzia a Cernusco sul Naviglio, uno degli oltre 700 tra proprietari di agenzie e tour operator della Lombardia che hanno manifestato - un flash mob ordinato, t-shirt gialla come divisa d’ordinanza, interventi, applausi e distanza di sicurezza mantenuta per due ore - ieri mattina in piazza Duca d’Aosta. In contemporanea ai colleghi piemontesi e toscani a Torino e Firenze.
Il settore turistico, che vale il 13 per cento del Pil nazionale, pari a un valore di oltre 232 miliardi, è il settore che più ha risentito della crisi sanitaria e poi economica legata al coronavirus. L’anello che lo tiene insieme è il turismo organizzato (12 mila aziende in Italia, circa 2 mila in Lombardia, 570 solo a Milano), fermo da prima del lockdown e per cui né la Fase 2 né la «2 e mezzo» rappresentano una ripartenza. E nemmeno, si teme, la riapertura del 3 giugno: nella migliore delle ipotesi, le aziende del settore torneranno a fatturare da agosto: «A febbraio abbiamo interrotto le attività - spiega Gabriele Milani, direttore nazionale di Fto (Federazione turismo organizzato) Confcommercio - e cancellato quasi completamente la programmazione costruita nei mesi precedenti». Con fatturati a zero da febbraio e le attuali condizioni, con i confini ancora chiusi e l’assenza di turisti, «torneremo a fatturare non prima di agosto, al 30 per cento rispetto al 2019. Prevediamo di finire l’anno con un calo di fatturato dell’80 per cento».
Numeri che permetterebbero di sopravvivere a poche aziende. Per questo, i manifestanti chiedono sostegni economici immediati, l’allungamento degli ammortizzatori sociali, indennità a fondo perduto, azzeramento fiscale. «Al momento abbiamo ricevuto soltanto 600 euro tramite voucher: come si può pensare che questo sia un aiuto sufficiente per persone che hanno perso cinque mesi di incasso e le cui prospettive sono a zero?», chiedono i commercianti al grido di #noisiamoilturismo. «La Regione ci ha convocati il 4 giugno per partecipare ai tavoli di discussione», dice Giusy Lodetti, titolare di un’agenzia della provincia di Bergamo. Dal 9 marzo, quando ha chiuso, ha continuato a lavorare per cancellare e riprenotare viaggi in previsione futura. Riaprirà il 3 giugno, «sperando di avere prodotti certi da offrire ai clienti».
Intanto si pensa al futuro: «Superato questo periodo, pensiamo anche di rivedere com’è organizzato il nostro comparto - continua Lodetti -: chiederemo la creazione di un albo a livello regionale, che poi si dovrebbe estendere a tutta Italia, con precisi diritti e doveri, contro gli abusivi e per offrire una garanzia ulteriore al cliente». Come dimostra la piazza colma di manifestanti, questa crisi è anche un’occasione per «unire le forze»: «Il settore è da sempre diviso, siamo più parti di una filiera - dice Michela Terzi, proprietaria di un’agenzia a Gorla Minore (Varese) -, ma in questo momento di difficoltà dobbiamo collaborare ed essere riconosciuti come una categoria unita. Solo così potremo farcela».