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Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo (afp)

la Repubblica

Pompeo: "Hong Kong non è più autonoma". Gli Usa le toglieranno lo statuto speciale

La svolta del segretario di Stato dopo l'annuncio della nuova legge sulla sicurezza imposta dalla Cina. L'ex colonia britannica potrebbe perdere presto il ruolo di grande piazza finanziaria e sede di multinazionali

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NEW YORK – “Hong Kong non è più autonoma dalla Cina”. La dichiarazione del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, è una conseguenza della nuova legge di sicurezza imposta da Xi Jinping all’isola-metropoli per spegnere le proteste. Ma la presa d’atto di Pompeo apre uno scenario gravido di conseguenze: le sanzioni sono inevitabili. E’ un nuovo passo nell’escalation della tensione fra Stati Uniti e Cina. “Prendo questa decisione senza alcun piacere – ha detto Pompeo – ma una politica estera sana esige che si riconosca la realtà. E’ ormai chiaro che la Cina sta plasmando Hong Kong a immagine e somiglianza di se stessa”. Quella del segretario non è solo una valutazione severa sulle ultime mosse di Pechino: ha conseguenze legali pressoché automatiche. Il Congresso ora può procedere con le sanzioni.
 
La crisi altera uno status quo che aveva retto per 23 anni. Per gli Stati Uniti è fondamentale il rispetto del patto del 1997: all’epoca in cui il Regno Unito trasferì Hong Kong alla Cina, quest’ultima (allora guidata da Deng Xiaoping) prese un impegno solenne con la comunità internazionale. Hong Kong avrebbe mantenuto uno statuto autonomo, in particolare delle regole dello Stato di diritto come libertà di manifestazione, libertà di stampa, indipendenza della magistratura, ben diverse dalla legislazione cinese. Tutto viene a cadere con l’imposizione della nuova legge di sicurezza, che estende su Hong Kong i poteri di uno Stato di polizia. La diversità di Hong Kong ha avuto conseguenze enormi, nel trattamento privilegiato che gli Stati Uniti riservano a quella metropoli: ora questo cambierà. Una volta cancellati i privilegi e trattamenti speciali, Hong Kong può dire addio al suo ruolo di piazza finanziaria, sede di multinazionali. 
 
Già la scorsa settimana Pompeo aveva detto che “aggirare l’assemblea legislativa di Hong Kong e ignorare la volontà della popolazione è una condanna a morte per quell’alto livello di autonomia che Pechino aveva promesso”. Robert O’Brien, National Security advisor del presidente, aveva aggiunto: “Con questa legge di sicurezza, di fatto stanno per prendere il controllo di Hong Kong. In tal caso il segretario di Stato non potrà certificarne l’autonomia e questo apre la strada a sanzioni. E’ difficile che Hong Kong rimanga il centro finanziario di tutta l’Asia e sede di tante multinazionali, una funzione legata all’esistenza di uno Stato di diritto”.

L’Amministrazione Usa è tenuta ogni anno a garantire davanti al Congresso che Hong Kong è autonoma. E’ il requisito perché il Congresso rinnovi le condizioni speciali di cui gode l’isola: per esempio l’esenzione dai dazi che colpiscono la Cina, o l’esenzione dall’embargo su forniture di tecnologie avanzate contro le aziende cinesi. Nella sfera commerciale, finanziaria, perfino negli accordi bilaterali su voli e visti, gli Stati Uniti trattano Hong Kong come un’entità separata, con suo grande beneficio. Ma una fuga di multinazionali occidentali da Hong Kong forse oggi non farebbe che ratificare un dato di fatto: la Cina non è quella del 1997 e di Deng Xiaoping, non ritiene di avere bisogno di una piazza off-shore, e da anni già ridimensiona il ruolo di Hong Kong a favore di Shanghai e Shenzhen. Peraltro al Congresso di Washington sono pronte anche delle sanzioni che colpirebbero quei dirigenti cinesi direttamente responsabili per il giro di vite repressivo su Hong Kong.