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Coronavirus, boom contagi nei mattatoi: perché e quali rischi?

Alto rischio di contagio all’interno degli impianti di macellazione. A Bari 70 dipendenti sono risultati positivi al Covid

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Quando si parla di focolai di coronavirus subito si pensa alle strutture ospedaliere e alle Rsa. Ebbene, c’è anche un altro luogo dove i contagi sembrano proliferare: si tratta dei mattatoi. Un po’ ovunque in giro per il mondo, tutti i Paesi sono stati interessati da questo fenomeno. E anche l’Italia non ne è rimesta immune.

Boom di contagi nei mattatoi di tutto il mondo

Come riportato da Il Messaggero, lo scorso mese, a Bari, ben 70 dipendenti di un’azienda che si occupa di lavorare la carne, sono risultati positivi al Covid-19. Se poi ci spostiamo negli Stati Uniti il bilancio è ancora peggiore. Oltre Oceano si parla di circa 5mila addetti alla macellazione e alla trasformazione della carne di 180 impianti. Sembra però che la diffusione sia maggiore e abbia colpito 10mila soggetti. In Germania, dove il coronavirus si è diffuso meno rispetto ad altri settori, i contagiati sono comunque un migliaio. E poi la Francia con un centinaio di positivi, e via via la Spagna, l’Irlanda, il Canada e l’Australia, dove centinaia di dipendenti in impianti di macellazione hanno contratto il virus. Nessuno Paese escluso.

Perché? Una risposta certa ancora non esiste. Come siamo ormai abituati da tempo, sul coronavirus si possono solo fare supposizioni, ipotesi, ma niente che sia certo. Si tratta infatti di un virus ancora sconosciuto. Su una cosa però gli esperti sembrano trovare un accordo: molto difficile che il contagio avvenga attraverso le carni animali. Molto più plausibile che il coronavirus si trasmetta da un lavoratore all’altro. Il fatto strano è che gli impianti di macellazione e lavorazione della carne fossero già molto controllati e igienizzati ancor prima della comparsa dell’epidemia. Da sempre infatti sono tenuti sotto stretta osservazione per timore del proliferarsi di altre forme virali, come per esempio l’afta epizootica di qualche anno fa, rischiose sia per chi ci lavora, sia per chi poi consuma l’alimento.

Solo ipotesi, nessuna risposta certa

In tutti i mattatoi, sia esteri che italiani, è obbligatorio, fin da prima del coronavirus, l’utilizzo di mascherine, guanti, cuffie e camici. Come si spiega allora il proliferare del virus e la sua trasmissione da un soggetto all’altro? Qualcuno ipotizza che la colpa sia da ricercare nel tipo di ambiente: chiuso, umido e freddo. Tre situazioni particolari che favoriscono la crescita del virus. In questi luoghi si lavora a stretto contatto e forse, può capitare che in alcuni momenti si abbassi la mascherina per comunicare in modo più chiaro o per prendere aria. Altra ipotesi riguarda gli spogliatoi dove le persone si cambiano e si lavano, senza l’uso delle protezioni. In Germania tendono invece a far ricadere la colpa sui lavoratori stessi, spesso immigrati pagati poco che abitano in abitazioni comuni. In questo caso il virus non avrebbe nulla a che fare con il posto di lavoro ma con la residenza.

Un dramma soprattutto per gli Usa

Se in Europa questa situazione può essere dannosa, ancora di più lo è in America, dove il consumo di carne è sempre stato alle stelle. Negli Stati Uniti si consumano annualmente circa 120 chili di carne pro capite, sottoforma di hamburger, bistecche e altro. A causa di questi contagi molte aziende hanno chiuso la loro attività. Almeno fino a quando è arrivato il presidente Trump che, forte dei poteri a lui conferiti dal Defense Production Act, ha imposto alle aziende, attraverso la firma di un ordine esecutivo, di riaprire e continuare a lavorare nono stante i rischi sanitari. Decisione contestata da più parti che non ha fatto altro che far proliferare il coronavirus.

Nessun pericolo comunque per i carnivori. Il contagio avviene solo attraverso la respirazione. E comunque, la cottura dell’alimento distruggerebbe il virus. Non vi è poi alcun riscontro scientifico che sulla fettina di carne il virus resista per ore. Che poi mangiare carne non faccia bene è un altro discorso più volte ribadito. Ma non ha comunque nulla a che vedere con il Covid-19.