Il paradosso dell’Europa: mai così generosa, mai così debole nelle teste degli Italiani

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KENZO TRIBOUILLARD via Getty Images
European Commission President Ursula von der Leyen gestures as she arrives for a plenary session of the European Parliament in Brussels on May 27, 2020, amid the crisis linked with the Covid-19 pandemic caused by the novel coronavirus. (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP) (Photo by KENZO TRIBOUILLARD/AFP via Getty Images)

Nel giorno del grande trionfo dell’Europa, scandito dall’annuncio in giacca fucsia di Ursula Von der Leyen di 2.400 miliardi per i paesi colpiti dal Covid-19, non si registra lo stesso sospiro di sollievo e lo stesso trionfalismo nei cittadini alle prese con la fase 2 o 2,5 della pandemia. Quelli che incontri per strada e che lottano per riaprire negozi, locali, attività, tra montagne di sacchetti di plastica per gli oggetti del cliente (ma non dovevamo eliminare la plastica?), mascherine e scudi di plexigrass copri-volto, camici copri-vestiti e guanti o disinfettanti per mani ormai ridotte a carta vetrata. 

Il paradosso è gigantesco. L’Europa non è mai stata così forte e così generosa da un lato; e non è mai stata così debole e lontana nelle percezioni degli Italiani, dall’altro. 

Se facciamo due conti, le risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee superano ogni rosea aspettativa. 

Prima il Bazooka della Bce circa 1000 miliardi di cui almeno 220 per l’Italia. Poi il programma Sure, per i disoccupati, altri 100 miliardi, di cui 20 al nostro paese, quando la Commissione per la prima volta ha detto: vogliamo occuparci anche della dimensione sociale del mercato del lavoro, rafforzando gli ammortizzatori sociali esistenti o creandone dei nuovi. Un risultato straordinario, se si pensa che dal “modello sociale” auspicato da Delors nei primi anni Novanta, le istituzioni europee non avevamo mai messo un dito nella politica sociale, ritenuta competenza esclusiva degli Stati (come ripeteva ossessivamente qualsiasi inglese di passaggio per Bruxelles). Poi è stata la volta della Banca europea per gli investimenti: 200 miliardi per le piccole e medie imprese, con quella flessibilità sartoriale così necessaria per aziende diversissime per taglia e dimensione in giro per l’Europa e così bisognose di aiuto. Infine, il Recovery Plan, che oggi prende un nome ancora più bello, il Piano per le future generazioni dell’Unione europea, che prevede 750 miliardi, di cui 500 sotto forma di contributi a fondo perduto, per fare la pace una volta per tutte con quelle generazioni di ragazzi e ragazze che stanno pagando in misura notevole i costi della crisi e che si ritroveranno un enorme debito sulle spalle da ripagare, ed economie malconce in cui sperare di afferrare un brandello di futuro. Se poi aggiungiamo il nuovo bilancio dell’Unione, quello di circa 1100 miliardi per i prossimi 7 anni, è abbastanza chiaro come oggi possiamo davvero parlare di trionfo. Di un’Europa che si risveglia unita e solidale e che molla un sonoro ceffone ai partiti sovranisti/nazionalisti che pensano, stupidamente, di poter fare da soli. 

Eppure, il titanico sforzo di Ursula & C. ancora non è arrivato nelle teste degli Italiani e di tanti cittadini europei. I sondaggi sono abbastanza concordi nell’indicare un calo del livello di fiducia nei confronti dell’Unione europea, da marzo ad oggi, ancora incontrovertibile. Solo il 30-35% di cittadini dice di credere ancora nell’Europa. Mentre la fiducia è alta verso il sistema sanitario nazionale, il governo, la protezione civile e le regioni. Non considerando poi che le risorse di governi, regioni e anche protezione civile vengono dall’Europa. 

Non è solo un problema di comunicazione; è vero che l’Europa e più in generale la politica estera non interessano a nessuno in un paese malato di politica interna, di piccole beghe di partito, di lotte fratricide tra capibastone. Il problema è semmai riconducibile a due grandi questioni: la cosiddetta “caduta a terra” degli strumenti, finora annunciati, e l’inclinazione ancora difficile da smantellare a considerare l’Europa la fonte di tutti i nostri mali. Gli Italiani non hanno ancora toccato con mano, nelle proprie tasche, gli effetti della programmazione europea, cioè i soldi necessari per riuscire a campare nel disastro economico attuale. E forse prima di toccarli dovranno piegarsi a rendicontazioni, perversioni burocratiche, promesse e giuramenti che ritardano qualsiasi effetto-shock.

E poi c’è un altro elemento da considerare: quando le persone stanno male, quando fasce intere della società italiana, soffrono ancora delle conseguenze della crisi del 2008 che da noi è durata fino al 2015 almeno, e ora rischiano di ripiombare in condizioni ancora maggiori, hanno diritto a indignarsi e a prendersela con qualcuno. L’Europa, ahinoi, è sempre lì bersaglio quasi perfetto, sufficientemente lontana da poter essere colpita senza sensi di colpa, e un po’ astrusa per non essere molto amata.