Non c'è giustizia sociale senza giustizia fiscale
by Giulio MarconIn queste ore circolano sui quotidiani delle anticipazioni sulla riforma fiscale cui starebbe pensando il governo, utilizzando una parte delle risorse (circa 10miliardi) del Recovery Fund, che nella proposta formulata prevede per l’Italia circa 80 milioni di sussidi a fondo perduto e 90 di prestiti. Il governo - secondo Repubblica del 27 maggio - starebbe pensando alla riduzione delle aliquote da cinque a quattro portando quella da 28 a 55mila euro dal 38 al 36% e quella da 55mila a 75mila sempre al 36% (dal 41%).
Il vantaggio sarebbe unicamente per il ceto medio benestante, mentre il ceto medio basso e quello disagiato non ne avrebbe nessun beneficio. Infatti il 77% degli italiani dichiara fino a 28mila euro. Il beneficio lo avrebbe il 20% degli italiani più benestanti con redditi netti mensili da 1600 a 4000 euro. In realtà fino a 2.400/2.500 euro al mese, il beneficio sarebbe abbastanza modesto (meno 2% di tasse) mentre il beneficio maggiore (con un taglio del 5% delle tasse) lo avrebbe chi guadagna dai 2mila e 600 euro ai 4mila euro al mese.
La gran parte degli italiani, il 77%, (la parte disagiata, gli operai, i precari, il ceto medio-basso) non avrebbe nulla. Se fosse così sarebbe una riforma sbagliata e iniqua. Sbagliata e iniqua per tre motivi. Primo: non si darebbe nessun aiuto alla stragrande maggioranza della popolazione. Secondo perché accentuerebbe il carattere regressivo del nostro sistema fiscale, schiacciando le aliquote. Terzo, perché non prevederebbe nessuna accentuazione del prelievo fiscale sulle classi di reddito privilegiate (mezzo milione di italiani) che dichiarano ogni anno più di 100mila euro.
Ovviamente nessuna anticipazione sulla ipotesi di una riorganizzazione della tassazione patrimoniale che - ricordiamo - già esiste nel nostro paese (sono 14 le imposte patrimoniali dall’imposta di bollo a quella sulla seconda casa, da quella di registro al bollo auto, ecc.): il governo, c’è da scommetterci, non farà nulla. C’è una sorta di tabù quando si nomina la parola “patrimoniale”. Il paradosso è che delle patrimoniali esistenti che colpiscono in modo regressivo tutti gli italiani pochi ne parlano, mentre se nomini la patrimoniale che colpirebbe il 3% degli italiani più ricchi, apriti cielo!
La vera riforma fiscale che oggi avrebbe senso in Italia è una riforma progressiva: far pagare meno la grande maggioranza degli italiani e fare pagare di più il 3% privilegiato. E ci sono almeno 2 modi per farlo: il primo portare dal 41% al 45% la tassazione chi guadagna più di 75mila euro lordi l’anno, dal 41% al 50% chi guadagna più di 100mila euro e dal 41% al 60% chi ne guadagna più di 300mila. Il secondo modo sarebbe quello di introdurre una tassa patrimoniale progressiva, a partire da 1milione di patrimonio, condizione nella quale si trova il 2,5% degli italiani. Il 97,5% degli italiani ne sarebbe esente.
Questo permetterebbe di tagliare significativamente le tasse a quel 77% di italiani che guadagna meno di di 28mila euro. Nell’appello In salute, giusta e sostenibile. L’Italia che vogliamo in cui sono contenuti 10 punti fermi per cambiare rotta (promosso da tanti esponenti delle associazioni e delle campagne e da Rosy Bindi a Rossana Rossanda, da Giovanni Moro a Francesca Re David, ecc. e sostenuto dalla campagna Sbilanciamoci!) il tema del legame tra giustizia fiscale e giustizia sociale è molto forte, un punto chiave.
E naturalmente c’è il tema dell’evasione fiscale, su cui questo governo fa ancora poco. 130miliardi di euro dei ricchi sono nascosti nei paradisi fiscali; su 37mila residenti a Monaco 7mila sono italiani (molti sono indirizzi di residenza, non abitanti...) e in Svizzera ci sono ben 300mila conti correnti di persone e società italiane. L’evasione fiscale ammonta ad almeno 100miliardi l’anno. Solo con la lotta all’evasione e con un fisco più equo si possono ridurre le diseguaglianze, rendere più forte il Servizio sanitario pubblico e darci un welfare universale, una scuola che funzioni. Anche questa è una sfida centrale per il dopo-pandemia.