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Esente dall’imposta di registro il “reclamo” improcedibile

Non è dovuta imposta di registro per il provvedimento con cui il giudice non interviene nel merito del giudizio, ma ne dichiara solo l'improcedibilità

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L’Agenzia delle Entrate ha chiarito quale sia la corretta tassazione, ai fini dell’imposta di registro, da applicare con riferimento al provvedimento giudiziario con cui si dichiara l’improcedibilità del reclamo contro i provvedimenti cautelari, ex art. 669- terdecies del codice di procedura civile, il quale dispone che “Contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il collegio, convocate le parti, pronuncia ordinanza non impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare”.

La precisazione è stata data con la Risposta n. 6 del 2020 in cui il soggetto istante (Tribunale) faceva presente che la Direzione Provinciale degli uffici dell’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che gli atti giudiziari che dichiarano l’improcedibilità del reclamo non siano da sottoporre a registrazione, in quanto non hanno carattere definitorio, non entrando nel merito della vertenza. Nel caso di specie, il reclamo dichiarato improcedibile non è riproponibile per scadenza dei termini e, pertanto, secondo lo stesso Tribunale istante il provvedimento cautelare diventa definitivo. Viene così domandato all’Amministrazione finanziaria se tale definitività è condizione per procedere alla tassazione del provvedimento, come affermato nella risoluzione del 12 marzo 2014, n. 28/E concernente la tassazione delle ordinanze di inammissibilità dell’appello ex articoli 348-bis e 348-ter del codice di procedura civile.

Perché non è dovuta imposta di registro?

Per affrontare la questione, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto utile richiamare quanto previsto dagli articoli 37 e 8 della Tariffa, Parte prima, allegata al TUR (Testo unico dell’imposta di registro), in quanto il combinato disposto dei due articoli permette di individuare gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che assumono rilevanza agli effetti dell’imposta di registro, in quanto “definiscono anche parzialmente il giudizio”, anche se siano stati impugnati o siano impugnabili.

Il primo dei due articoli stabilisce che gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato. L’articolo 8, invece, riporta l’elenco tassativo degli atti soggetti a registrazione in termine fisso, indicando, altresì, la misura dell’imposta. Al riguardo è stato già chiarito (Circolari 22 gennaio 1986, n. 8 e 9 maggio 2001, n. 45) che non tutti gli atti dell’autorità giudiziaria devono essere assoggettati a registrazione in termine fisso, ma solo quelli che intervengono nel merito del giudizio, a conclusione di una controversia che si è instaurata e che il giudice è chiamato a risolvere.

Nel caso dell’istanza di interpello in commento, il giudice non è entrato nel merito del giudizio, ma ha dichiarato l’improcedibilità del reclamo. Dunque secondo l’Agenzia delle Entrate, il caso “non integra la fattispecie dell’atto dell’autorità giudiziaria che definisce anche parzialmente il giudizio. Esso, infatti, non interviene nel merito del giudizio, ma ne dichiara l’improcedibilità. Pertanto, non è soggetto a tassazione in termine fisso”.