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 Peter Piot, 71 anni 

la Repubblica

Il cacciatore di virus contagiato dal Covid. "Lo avevo sottovalutato, mi sbagliavo"

La storia di Peter Piot, direttore della London School of Hygiene and Tropical Medicine, uno dei pionieri nella lotta all'Aids e a Ebola. Il ricovero in ospedale e la battaglia per combattere il coronavirus. "Senza un vaccino non torneremo mai alle nostre vite normali"

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LONDRA - L'uomo che ha inseguito per tutta la sua vita i virus, dall'Aids all'Ebola, alla fine è stato contagiato dal coronavirus. E la sua esperienza è stata terribile: "Come se fossi finito sotto a un treno. All'inizio, l'ho sottovalutato. Non sono mai stato malato seriamente in vita mia, negli ultimi dieci anni non ho mai preso un giorno di malattia, ora è la prima volta che per un mese non ho bevuto un bicchiere di vino. Pensavo che il Covid-19 fosse come la Sars, a confronto molto limitata. O come un'influenza. Mi sbagliavo, di grosso".
 
A parlare, ad alcuni giornali come il New York Times e il magazine belga Knack negli ultimi giorni, è il dottor Peter Piot. Settantuno anni, belga, direttore della London School of Hygiene and Tropical Medicine e uno degli studiosi pionieri nella lotta all'Aids ed Ebola in Africa, Piot ha rischiato grosso a causa del Covid-19. Il ricovero in ospedale, la respirazione assistita, il fatto di esser sopravvissuto grazie a una successione favorevole di eventi in un quadro clinico molto grave, nonostante le sue ottime condizioni di salute. "Questa è la rivincita dei virus: sinora gli ho reso la vita difficile. Stavolta è stato il Covid-19 a fare lo stesso con me".
 
La storia di Piot è esemplare per capire perché il Covid-19 non è "come un'influenza" e perché non deve essere assolutamente sottovalutato. "Non so dove ho preso il coronavirus", racconta lo studioso a capo della task force dell'Onu "Joint United Nations Programme on HIV/AIDS" tra il 1995 e il 2008 e oggi consigliere della Commissione europea di Ursula von der Leyen proprio sul coronavirus: "Sono stato a Singapore a gennaio, poi ho condotto la mia solita vita: incontri, seminari, cene, aperitivi. Ma da molti giorni, per esempio, non davo più la mano ma solo il gomito, come ai tempi di Ebola".
 
Fino al 19 marzo. Quando Piot si accorge di avere la febbre, inizialmente poco sotto i 38 gradi, e un forte mal di testa: "Mi facevano male persino i capelli, davvero strano. Non avevo tosse, ma mi son detto: 'Speriamo non sia il Covid 19'". Invece lo era, come dimostrato da un test ottenuto da un medico privato. Allora Piot si auto-isola in casa, nella stanza degli ospiti, lontano dalla moglie Heidi Larson, antropologa e direttrice del "Vaccine Confidence Project" sempre della London School of Hygiene and Tropical Medicine. 
 
Ma le cose vanno sempre peggio. La febbre sale fino a 40 gradi e l'ossigeno inizia a scarseggiare nel suo sangue, anche se stranamente non ha difficoltà respiratorie. Va in ospedale e Piot scopre che i suoi polmoni sono a pezzi: polmonite grave tipica del Covid-19, ma anche una polmonite batterica: "Ho sempre mille energie ma ero distrutto. Totalmente svuotato di qualsiasi energia". Il primo aprile viene ricoverato. Curiosamente, a un nuovo test è già negativo: "Ma questo è tipico del Covid-19: il virus magari scompare. Ma le conseguenze durano a lungo". E possono essere irreversibili.
Piot viene ricoverato in un ospedale pubblico, in una stanza insieme ad altre tre persone: "Quando entri in un ospedale nel Regno Unito a causa del coronavirus, in terapia intensiva c'è il 30 per cento di possibilità di non farcela, almeno secondo le statistiche. Lo stesso era con Ebola in Africa nel 2014. Molte persone credono che il Covid-19 uccida solo l'1 per cento dei pazienti e il resto delle persone se la cavi con sintomi influenzali", ammonisce Piot, "ma la vicenda è ben più complessa. Molti pazienti, anche se sopravvivono, avranno danni irreversibili ai reni, o problemi al cuore per il resto della loro vita. Anche il sistema nervoso viene toccato dalla malattia. Tutti gli organi sono a rischio col Covid-19. Più passa il tempo e più conosciamo questo virus. Ecco perché mi fanno arrabbiare quei commentatori che, senza saperne, criticano la scienza".
 
In ospedale, Piot rischia molto. I test mostrano un alto livello infiammatorio nel corpo e possibile embolia nel sangue. Riceve antibiotici endovena e tanto ossigeno tramite una mascherina ma non viene intubato. Guarda la serie tv di "Montalbano" sulla Bbc. L'ossigeno nel sangue torna al 92 per cento. Viene dimesso e torna a casa l'8 aprile. Ma non è finita. A questo punto, il suo sistema immunitario reagisce in maniera eccessiva perché non sa che cosa fare contro questa minaccia inedita, paradossalmente un'altra causa di morte per Covid-19. I battiti cardiaci salgono a 170 al minuto: "Sono ancora in cura per questo", spiega il luminare a "Knack", "mediante corticosteroidi, per rallentare la difesa immunitaria. Se tutto questo fosse accaduto durante l'emersione dei primi sintomi, non sarei sopravvissuto".
 
"Senza un vaccino", conclude Piot, "non torneremo mai alle nostre vite normali. E non è sicuro che lo avremo".