Il conflitto di interessi di Patrizia Baffi, la renziana che piace alla giunta della Lombardia
by Luigi MastrodonatoLa consigliera sarà chiamata a presiedere l'inchiesta di Regione Lombardia sulle Rsa lombarde di cui è dipendente in aspettativa. Il 4 maggio era stata l'unica dell'opposizione a non partecipare al voto di sfiducia nei confronti dell'assessore Gallera
“Onestà intellettuale”. È su queste basi che Patrizia Baffi, consigliera regionale di Italia Viva, al Corriere della Sera si è detta sicura che la delibera lombarda dell’8 marzo con cui si ordinava il trasferimento dei malati di Covid-19 nelle Rsa non ha a che fare con la strage nelle Rsa. Una convinzione che è stata già smentita da una miriade di inchieste e approfondimenti, che proprio nelle residenze per anziani vedono il punto più basso della gestione lombarda dell’emergenza sanitaria, tanto che si stanno muovendo anche gli organi giudiziari. Eppure la consigliera renziana, proveniente da Codogno e impiegata proprio in una Rsa, si sente di giustificare la giunta di Attilio Fontana sotto questo aspetto. Nulla di strano: il trasformismo è la vera essenza di Italia Viva anche a livello nazionale, non fosse che Patrizia Baffi nelle scorse ore è stata eletta a capo della commissione d’inchiesta che dovrà far luce su cosa sia andato storto nella regione italiana più martoriata dal virus.
Secondo lo statuto, il nome della presidenza deve essere indicato dalle opposizioni, proprio per evitare quel conflitto di interessi di una giunta che si sceglie la persona che dovrà indagare sul proprio operato. Pd, M5s e i movimenti civici avevano indicato con il 95% delle preferenze il nome del dem Jacopo Scandella, ma l’amministrazione lombarda è invece andata per la sua strada. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno votato per Patrizia Baffi, membro di opposizione che però non trovava, come doveva essere, l’appoggio delle opposizioni: l’unico voto ricevuto è stato quello di se stessa. E il motivo è presto detto. La frase sulle Rsa non è l’unica traccia della vicinanza della donna alla giunta di centrodestra lombarda. A marzo, sul suo profilo Instagram, compariva la sua foto sorridente al fianco del governatore Fontana, con tanto di cuoricino rosso e un appello a tirarli fuori dalla situazione difficile che si stava creando nel lodigiano. “Noi ci fidiamo di te”, scriveva. A inizio maggio, invece, sempre la renziana Baffi risultava l’unica esponente di opposizione a non partecipare alla mozione di sfiducia nei confronti dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera, definendolo “un atto inopportuno”. Tanto che già in quella occasione il presidente leghista della commissione Sanità, Emanuele Monti, gli aveva garantito il voto in caso si fosse candidata per la commissione d’inchiesta. Cosa che in effetti è avvenuta.
Insomma, mentre ieri a Roma il partito di Renzi sollevava Salvini dal processo per i porti chiusi alla ong Open Arms, a Milano i salviniani regalavano ai renziani una posizione di prestigio, facendo più che altro un regalo a loro stessi. “Una coalizione e una giunta che non hanno nulla da nascondere non si scelgono il presidente che compete all’opposizione”, ha sottolineato il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando. E in effetti il punto è proprio questo. Che credibilità può avere nell’indagare sugli eventuali errori del modello Lombardia una persona che in passato si è distinta per diversi flirt con la giunta regionale, è considerata persona di fiducia da quest’ultima e alla prima intervista post-nomina ha già deciso “per onestà intellettuale” che le delibere del duo Fontana-Gallera sulle Rsa non hanno portato i danni che si raccontano?
È l’ennesimo smacco per una regione che a oggi sfiora le 16mila vittime ufficiali per Covid-19, a cui se ne aggiungono chissà quante altre centinaia o migliaia non certificate. Una regione dove a tre mesi dall’inizio della pandemia l’assessore al welfare ancora non ha capito come funziona l’indice di contagio, dove oggi i tamponi sono al minimo per sgonfiare la narrazione dell’emergenza, dove i decantati test sierologici a tappeto sono diventati un affare privato per chi se li può permettere. Problematiche del presente che si sommano a quelle del passato, relative proprio alla gestione delle Rsa e alla mancata istituzione delle zone rosse adeguate sotto il ricatto delle associazioni di categoria.
La Lombardia è uno dei territori a livello globale che più ha accusato la crisi sanitaria ed è difficile affidare questo primato al caso. Dal Pirellone hanno dimostrato di non volersi prendere responsabilità, in quel continuo elogio di se stessi che ha trasformato la comunicazione dell’emergenza in un perenne comizio elettorale. Tocca allora alla commissione d’inchiesta dirci cosa davvero è andato storto, in quello che dovrebbe essere un lavoro imparziale, minuzioso, approfondito, per trovare gli eventuali responsabili della strage a dare giustizia alle vittime e ai loro parenti. Che i potenziali imputati si siano scelti il giudice del processo, un giudice che per il suo storico recente sembra più uno di loro che non un membro delle opposizioni, getta da subito ombre su chi avrebbe dovuto fare luce sul modello Lombardia.