Il digiuno intermittente: una moda dietetica non priva di rischi. Poche le prove di efficacia
by Redazione Il Fatto AlimentareGrazie ai numerosi libri scritti sull’argomento, sempre più persone famose e normali cittadini seguono la nuova moda del digiuno con la speranza di vivere più a lungo e in salute. Ma vale la pena soffrire la fame oppure è più prudente lasciare ad altri il rischio della sperimentazione? Le evidenze a nostra disposizione suggeriscono cautela. Per una vita sana e longeva ci sono oggi alternative più piacevoli e sicure.
Il digiuno prolungato inteso come sola assunzione di acqua per più di uno-due giorni, non è raccomandato come trattamento clinico dell’obesità a causa dei rischi di complicanze. In ogni caso deve essere praticato solo sotto stretta supervisione medica.
Il digiuno intermittente, di cui parliamo in questo articolo, (IF: Intermittent Fasting) è una delle mode dietetiche più diffuse negli ultimi anni: ad un periodo di alimentazione (si intende ingestione, digestione e assorbimento) si alterna un periodo di digiuno. Tipologie popolari di IF includono il digiuno fino a 24 ore una o due volte la settimana con una dieta libera durante i giorni rimanenti (PF: Periodic Prolonged Fasting o ICR: Intermittent Calorie Restriction), 16 ore di digiuno alternate a 8 ore di alimentazione (TRF: Time-Restricted Feeding), e l’ADF: Alternate-Day Fasting, che prevede giorni con una dieta ad libitum alternati a giorni di digiuno completo oppure con meno del 25% del fabbisogno calorico.
In letteratura si utilizzano i termini ‘digiuno intermittente’ per raggruppare tutti questi diversi protocolli. Anche la dieta mediterranea prevede il digiuno intermittente nel suo significato letterale, con periodi di alimentazione a cui seguono periodi di digiuno che possono durare anche parecchie ore (come quello notturno).
Attualmente il digiuno intermittente è studiato per il dimagrimento, ma anche in altri ambiti: per migliorare il profilo nutrizionale (colesterolo, trigliceridi), per il controllo della glicemia, nelle malattie cardiovascolari, tumori e altro. Un campo d’interesse è anche la possibile associazione tra digiuno intermittente e longevità. Da molti anni si studia la relazione tra restrizione calorica e aspettativa di vita, con numerosi esiti positivi in esperimenti animali, ma senza certezze nell’uomo.
La restrizione calorica, infatti, comporta numerose modifiche metaboliche, fra cui diminuzione della spesa energetica e riduzione di radicali liberi, modificazioni del tessuto adiposo e una rigenerazione delle cellule (autofagia). Alcuni autori sostengono che il digiuno i intermittente (IF), anche senza una diminuzione del peso corporeo nel tempo, possa dare gli stessi benefici.
Non ci sono studi life-long (che durano tutta la vita) sul digiuno intermittente. Sia per l’IF che per la restrizione calorica non sappiamo chi può avere un maggior beneficio: forse gli adulti, non certo i bambini o i ragazzi in crescita, tantomeno gli anziani, nei quali la restrizione calorica va evitata. L’uomo, oltre alla lunghezza della vita, è interessato – forse ancor più – alla qualità della vita. In tal prospettiva i dati epidemiologici indicano che la dieta mediterranea non ha rivali.
In Italia i “nutrizionisti” senza studi formali in nutrizione (purtroppo ce ne sono diversi), tendono ad usare con maggior facilità diete low carb estreme, senza carboidrati, come le chetogeniche e i digiuni intermittenti perché non conoscono i disturbi del comportamento alimentare. Al contrario i nutrizionisti specializzati utilizzano con parsimonia regimi dietetici molto restrittivi. C’è infatti la consapevolezza del maggior rischio di sviluppare disturbi del comportamento alimentare (DCA), per esempio abbuffate, specie in giovani adolescenti. È difficile selezionare le persone cui proporre un digiuno intermittente ,poiché nemmeno gli esperti del settore (psichiatri, psicologi, medici e dietisti che si occupano di DCA) possono predire con certezza se il paziente che hanno di fronte è un soggetto a rischio dal momento che troppi sono i fattori coinvolti: ambientali, genetici e psicologici.
Spesso è più facile seguire una restrizione calorica (classica dieta) che un IF, sia nel breve che a lungo termine. Il numero di soggetti che abbandona un digiuno può essere elevato, per vari motivi: perché è uno stile alimentare che non fa parte della nostra cultura, perché è complicato da seguire, occorre molta forza di volontà e può essere incompatibile con il nostro stile di vita, ma anche per gli effetti collaterali come mal di testa e stanchezza.
Ulteriori dati arrivano dal digiuno religioso praticato ogni anno da milioni di musulmani. Durante il mese di Ramadan i fedeli non assumono cibo e bevande durante il giorno ma solo prima dell’alba e dopo il tramonto. Sono documentati diversi effetti negativi, fra i quali disidratazione, emicrania, nausea, svenimenti, alterazioni circadiane e del sonno, binge eating disorder. Ci sono tuttavia delle differenze fondamentali rispetto ai protocolli di digiuno intermittente: l’impossibilità di bere, l’adesione elevata fra i fedeli che porta alla partecipazione anche di persone che non dovrebbero per problemi di salute.
Un’altra preoccupazione dell’IF è il contemporaneo utilizzo di farmaci. Il digiuno infatti influenza il metabolismo di molti farmaci: ad esempio sono stati documentati, durante il digiuno, casi di epatotossicità da paracetamolo (Tachipirina®) anche ai dosaggi raccomandati. Questo problema è maggiore per i medicinali acquistabili senza ricetta, fra i quali c’è il paracetamolo che si può trovare in moltissimi farmaci da banco. Per questo e per altri motivi è sempre opportuna una valutazione medica prima di intraprendere un digiuno.
Per quanto riguarda l’efficacia nel trattamento dell’obesità e del sovrappeso, i risultati non sono chiari. Alcuni studi suggeriscono che l’IF sia efficace nel ridurre il peso corporeo e il grasso corporeo nel breve termine, ma nulla di diverso o in più rispetto alle normali diete ipocaloriche. Un recente studio pubblicato da JAMA rileva che non vi sono differenze a breve termine per quanto riguarda il calo ponderale e la perdita di massa grassa. Emerge però, che nell’ Alternate-Day Fasting (ADF) (25% dell’energia necessaria nel giorno di digiuno e 125% dell’energia nel giorno di alimentazione) un anno dopo il colesterolo LDL, il principale fattore di rischio per malattie cardiovascolari, è aumentato del 10% rispetto a una normale dieta ipocalorica (75% dell’energia necessaria). Quindi l’ADF può risultare pericoloso!
In una revisione pubblicata dal The American Journal of Clinical Nutrition gli autori concludono che sono necessari ulteriori studi prima di poter raccomandare il digiuno come mezzo per migliorare la salute.
Si ipotizzano possibili effetti benefici dell’IF sul diabete e sul controllo glicemico, grazie alle modificazioni circadiane, alle modificazioni della flora batterica intestinale e all’impatto su alcuni aspetti della qualità di vita, evidenziati in alcuni studi. Ciononostante i dati a disposizione non sono sufficienti per sostenere questa ipotesi benefica sul controllo metabolico. Le linee guida italiane per il management del diabete mellito raccomandano, in prevenzione primaria, per il calo ponderale “una moderata riduzione dell’apporto calorico (300-500 kcal/die)”, mettendo in guardia su possibili rischi di ipoglicemia in seguito a brusche diminuzioni dell’introito calorico.
È da ricordare inoltre che, nei pazienti con malattie come diabete, gotta e obesità, il digiuno può avere effetti deleteri, per esempio porta a un innalzamento dell’uricemia, che può portare ad attacchi di gotta acuta, oltre che ad aumentato rischio cardiovascolare.
Anche regimi che hanno l’obiettivo di mimare il digiuno non vengono consigliati dalle Linee guida per una sana alimentazione 2018 (pag 194): “I primi test sull’uomo non confermano che il “mima-digiuno” modifichi favorevolmente gli indicatori di patologia, tra cui i parametri infiammatori. Infatti, i risultati ottenuti sugli animali da esperimento, in laboratorio, in condizioni controllate non sono confermati negli studi di intervento sull’uomo” e ancora “i consigli di limitare fortemente il consumo di frutta, pane e pasta” … appaiono … “meno condivisibili e senza alcuna base scientifica”.
L’unica forma di IF che sembra particolarmente promettente in termini salutistici è il “digiuno breve o intermittente” in cui ci si astiene dal mangiare per 15-18 ore possibilmente a giorni alterni e non più di 2-3 volte a settimana. L’alimentazione è concentrata nella prima parte della giornata, cioè a colazione e pranzo, mentre si salta la cena. Una variante prevede la sostituzione della cena con verdure non amidacee sotto forma di insalata o zuppa. Ma la prudenza è d’obbligo perché la ricerca sull’uomo è ancora negli stadi iniziali. Resta sempre da escludere che queste pratiche non favoriscano i disturbi del comportamento alimentare (DCA).
In conclusione, allo stato attuale, il digiuno intermittente non sembra essere una valida alternativa per il trattamento dietetico dell’obesità, malattie cardiovascolari, diabete o altro. Prima di consigliare alla popolazione generale il digiuno a fini salutistici sono necessari ulteriori studi per valutare meglio la sicurezza e l’efficacia dei vari protocolli di IF.
L’unico digiuno che oggi merita di essere seguito, in linea con la dieta mediterranea, è la pausa notturna tra cena e colazione. Riuscire ad avere un break dall’assunzione di cibo di 12 ore notturne è già un traguardo che pochi riescono a raggiungere. Inoltre anticipare l’ora e ridurre la quantità della cena presenta dei vantaggi metabolici molto utili: maggior controllo insulinico e calo ponderale.
Mangiare è un piacere che fa star bene. Non mangiare o nutrisi molto poco può causare malessere, cefalea, irritabilità e altri disturbi: in una parola è ‘deprimente’. È inutile soffrire la fame senza avere la certezza di un reale beneficio per la salute, magari scoprendo un domani di aver subito un danno.
Se desideriamo avere una vita sana e longeva, abbiamo già delle alternative più sicure. Il modello è una dieta di tipo mediterraneo o vegetariana ricca di prodotti di origine vegetale, carboidrati ricavati da cereali, legumi o frutta e fibra alimentare. Lo schema alimentare deve essere povero di prodotti di origine animale con pochissimi zuccheri aggiunti, occorre anche una certa attività fisica, un buon sonno notturno e niente alcolici.
Antonio Pratesi e Massimo Carollo
Gli autori dichiarano di non aver alcun conflitto di interesse