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Le proteste a Minneapolis dopo la morte di George Floyd (Photo by Stephen Maturen/Getty Images)

Cos'è successo a Minneapolis, dove un afroamericano è morto dopo un fermo di polizia

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Un video mostra due agenti immobilizzare George Floyd con un ginocchio sul collo. Dopo aver detto “non riesco a respirare”, Floyd è morto. La polizia parla di un “incidente medico”, ma in Minnesota la protesta ha già attirato migliaia di persone

Nello stato americano del Minnesota, a Minneapolis, il 26 maggio migliaia di persone sono scese in strada per protestare contro le violenze della polizia nei confronti della comunità afroamericana. A scatenare questa reazione è stata la pubblicazione di un video, diventato virale, in cui un uomo – identificato in seguito come George Floyd – viene ammanettato dalla polizia locale, messo faccia a terra e poi immobilizzato da un agente con un ginocchio all’altezza del collo. Prima di perdere i sensi e morire, Floyd ha ripetuto più volte la frase “I can’t breathe” (non riesco a respirare). Il video, girato da alcuni testimoni presenti sul luogo al momento del fatto, mostra anche alcune persone intervenire dopo che l’uomo ha smesso di muoversi: c’è chi ha chiesto agli agenti di andarci piano e controllargli il polso per capire se fosse ancora vivo, e chi ha fatto notare che l’uomo aveva iniziato a sanguinare dal naso. La scena è durata 10 minuti circa e, fino all’arrivo dei soccorsi, nessuno dei due agenti che ha arrestato Floyd è intervenuto per accertarsi delle sue condizioni di salute. L’Fbi e le autorità del Minnesota stanno indagando sull’accaduto per accertare le responsabilità.

La versione della polizia

Secondo la versione fornita dal Minneapolis Police Department, l’uomo è stato arrestato la sera del 25 maggio, dopo una segnalazione, poiché sotto “effetto di alcol e droga”. La polizia ha riferito che Floyd si sarebbe opposto all’arresto, ma da un video diffuso dalla Cbs, ripreso da una telecamera di sorveglianza di un ristorante sulla strada, e stando alla testimonianza del proprietario del locale, non sembra esserci stata nessuna resistenza da parte dell’uomo all’azione degli agenti.

La polizia, inoltre, avrebbe spiegato che, dopo aver immobilizzato Floyd, gli agenti si sarebbero accorti che Floyd stava avendo “un problema di salute” (non meglio specificato) e che quindi avrebbero chiamato i soccorsi.

A qualche ora dalla diffusione del video, il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, ha organizzato una conferenza stampa e annunciato il licenziamento di quattro agenti che, secondo il dipartimento, sarebbero coinvolti con il caso di Floyd. Non sono stati forniti ulteriori dettagli, come le loro identità.

Le reazioni a Minneapolis

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(foto: Stephen Maturen/Getty Images)

Alla notizia della morte di George Floyd, migliaia di persone sono scese in piazza a protestare chiedendo giustizia. Molti cartelli con la scritta “I can’t breathe”, con “KKKops” o con lo slogan “Black lives matter”, simbolo del più celebre e organizzato movimento contro le violenze della polizia sulle persone di colore.

Sono arrivate reazioni anche dal mondo politico, naturalmente. A partire dal sindaco di Minneapolis Jacob Frey che sui suoi profili sui social network ha scritto che “essere nero negli Stati Uniti non dovrebbe equivalere a una sentenza di morte”. 

La senatrice del Minnesota ed ex candidata alle primarie del Partito democratico, Amy Klobuchar ha chiesto “un’indagine esterna completa e approfondita”, affermando in una nota che “coloro che sono coinvolti in questo incidente devono essere ritenuti responsabili”.

I precedenti

Il caso di George Floyd si aggiunge ad altri episodi di violenza simile praticati dalla polizia ai danni di persone di colore. Il primo a ottenere clamore mediatico fu quello di Micheal Brown, un diciottenne afroamericano ucciso nel 2014 da alcuni colpi di pistola sparati da un agente della polizia di Ferguson in Missouri. Il ragazzo venne colpito pochi minuti dopo aver commesso una rapina, pur non avendo nessuna arma con se. L’evento scatenò numerose protese, alcune molto accese, che diedero visibilità al movimento antirazzista Black Lives Matter. Un’altra vittima, morta in circostanze molto simili a quelle di Floyd, è Eric Garner, ucciso per soffocamento nel 2014 durante un tentativo di arresto. Garner era stato fermato in una strada di Staten Island, a New York, per presunto contrabbando di sigarette.