Cummings sgarra, BoJo lo difende: dov’è finito lo stile anglosassone?
by Luca RossiLa storia della fuga a nord di Dominic Cummings, in totale violazione delle regole sul lockdown, è un misto tra un pasticciaccio all’italiana e un romanzo poliziesco a puntate. A fine marzo, il potente consulente del primo ministro Boris Johnson è stato beccato nella tenuta di famiglia a Durham dopo di un viaggio notturno di più di 400 chilometri con moglie e figlio al seguito.
Domenica sera, messo all’angolo da una serie di richieste di dimissioni, Cummings ha dichiarato in un’insolita conferenza stampa di essersi comportato in maniera “responsabile, integra e legale”, e ha incassato (per ora) il sostegno di Johnson, la cui popolarità sarebbe scesa del 20% negli ultimi giorni secondo un sondaggio citato dall’Independent.
Cummings è considerato l’eminenza grigia del governo inglese. Definito da David Cameron, un “career psychopath”, uno pazzoide che farebbe di tutto per la propria carriera, Cummings è stato l’architetto della campagna Leave per la Brexit e dell’elezione di Boris Johnson a primo ministro.
Autore dei famosi slogan “Take Back Control” e “Get Brexit Done”, ha sempre espresso il suo disprezzo per l’establishment britannico e per i funzionari del governo, promettendo un ricambio radicale dell’apparato di Whitehall e l’assunzione di (parole sue) “economisti, data scientists e tipi strambi con capacità fuori dal comune.”
Scriveva nel 2017: “I cittadini pensano questo: ’Il partito Tory è gestito da politici che sostanzialmente non si preoccupano di persone come me. Conosco molti parlamentari Tory e sono triste nel dire che il pubblico ha sostanzialmente ragione. I parlamentari di Tory non si preoccupano dei cittadini più poveri. A loro non importa del servizio sanitario nazionale”.
La retorica popolo vs élite ha caratterizzato tutta l’attività politica di Cummings ed è stata al centro della battaglia per lasciare l’Unione Europea. È adesso un boomerang che si abbatte sul consulente per aver lui stesso, e in modo plateale, trasgredito alle regole iniziali che ha contribuito a scrivere: quelle dello “stare a casa”, uscire solo per motivi di lavoro o esercizio fisico una volta al giorno, o acquisto di cibo e medicine, e altre “ragionevoli scuse”.
I fatti, in breve: Cummings si mette in marcia verso la vasta tenuta di famiglia a nord a fine marzo dopo che la moglie comincia a avere sintomi da Covid-19. Convinto anche lui di aver contratto il virus, e preoccupato per il figlio di 4 anni, parte per Durham con consorte e pargolo di notte, dopo che le nipoti di 17 e 20 anni danno la disponibilità a prendersi cura del bambino nella villa di famiglia, nel caso i coniugi Cummings non riescano più a farlo. Dopo alcune settimane, il giorno del compleanno della moglie, Cummings si rimette di nuovo al volante verso Barnard Castle, a 45 minuti da Durham, “per testare la propria vista indebolita dal Covid-19” in vista di un imminente rientro a Londra in macchina.
Nella conferenza stampa di domenica sera, Cummings ha ribadito che secondo le linee guida del governo era possibile uscire di casa in circostanze estreme legate alla salute dei bambini (le regole dicono, in realtà, che si poteva uscire per accedere a strutture pubbliche se la salute di un minore era in pericolo).
Ma molte parti del suo racconto non tornano: perché si è rifugiato a più di 400 chilometri di distanza invece che chiedere aiuto a parenti londinesi? Perché si è messo in viaggio anche se non aveva ancora contratto sintomi da coronavirus? Come si spiega la seconda gita in macchina al castello?
Resta da capire, soprattutto, perché la maggior parte dei britannici abbia dovuto rispettare le norme del lockdown, non muoversi, soffrire in isolamento, rinunciare al funerale dei propri cari, mentre uno delle figure apicali dell’esecutivo abbia trasgredito le regole - o se non altro le abbia utilizzate con estrema disinvoltura.
La vicenda, che ha già causato grosse polemiche all’interno dei Conservatori, con le dimissioni di un ministro junior e una pioggia di critiche nei confronti del governo, lascia l’immagine di un paese con una leadership debole, vittima della sua stessa retorica, in stato confusionario, tremendamente carente nell’affrontare l’emergenza dettata dal coronavirus.
Nello stile anglosassone a cui siamo abituati, quello per cui un politico o un civil servant che sgarra paga immediatamente, Johnson avrebbe dovuto scusarsi col paese e chiedere un passo indietro a Cummings. Invece nulla, a mala pena un sussulto, per un primo ministro sempre più dipendente dalla sua cerchia di consulenti e cosi’ post-ideologico, opportunista e poco interessato all’implementazione delle norme da delegare gran parte del funzionamento della macchina governativa a Cummings, ormai centro focale dell’esecutivo.