la Repubblica
Dossier infortuni, tutti i rischi del nuovo calendario
Ibrahimovic ko ma spera di tornare in tempo per la ripresa del campionato, i calciatori di tutto il mondo sanno che l'accelerazione è pericolosa
by ENRICO CURRO'Il mezzo sospiro di sollievo di Ibrahimovic, dopo la diagnosi del suo infortunio (lesione al muscolo soleo del polpaccio destro), conserva allo svedese la speranza di potere tornare almeno nella parte finale della ripartenza del campionato, se la Serie A riprenderà a metà giugno. Resta però ugualmente alto l'allarme dei calciatori di tutto il mondo per l'anomala percentuale degli infortuni sia durante gli allenamenti, in vista del ritorno in campo, sia durante le partite già ricominciate, come in Bundesliga. La preoccupazione dei diretti interessati è legittimata dal settore medico della Fifpro, il cui responsabile Vincent Gouttebarge aggiunge a Repubblica un elemento di riflessione, già puntato sulla prossima stagione: "Servirà la massima vigilanza su questo tema: il rischio che la stagione che si sta completando finisca troppo a ridosso di quella che dovrà cominciare può fare nascere un calendario molto intasato, senza i necessari tempi di preparazione per i nuovi campionati e coppe e senza i necessari tempi di recupero. I giocatori non sono macchine: la loro salute viene prima di tutto".
Gouttebarge - che condivide anche le perplessità dei calciatori italiani sulla fascia oraria delle 16,30 per la ripresa della serie A in estate ("allenamenti e partite vanno cancellati e riprogrammati, quando si superano i 32° della cosiddetta temperatura composita, parametrata su aria, umidità, esposizione all'umidità e al vento") - non si riferisce soltanto alla battaglia, vinta, per lo spostamento a novembre 2022 del Mondiale in Qatar, inizialmente previsto in giugno e in luglio. Il responsabile medico della Fifpro rimanda anche allo studio dettagliato, pubblicato nel 2019, che segnalava le storture di un calendario senza respiro: un tema che sta per riproporsi.
L'allarme di Klopp e Guardiola
Il rapporto medico, dal titolo esplicito "Al limite", si apriva con i commenti di due grandi allenatori come Jurgen Klopp, del Liverpool campione d'Europa in carica, e di Pep Guardiola, del Manchester City campione d'Inghilterra in carica. Diceva Klopp: "Se non impareremo a gestire più ragionevolmente l'impiego dei calciatori, uccideremo il bel gioco: senza i calciatori, il gioco non è divertente". Gli faceva eco Guardiola: "E' un calendario folle, ucciderà i calciatori: non lo potremo sopportare ancora per molto tempo. Per dare il meglio in campo, devono respirare. Devono riposare". Ma il riposo forzato, dovuto alla pandemia, non è stato certo un bene per loro: la necessità di stringere i tempi, per fare stare il maggior numero possibile di competizioni dentro un periodo più ridotto, accentua adesso i pericoli segnalati dal sindacato mondiale. "Il nostro report - spiega Gouttebarge - rileva come i calciatori professionisti possano raggiungere il loro pieno potenziale solo quando sono in buona salute, sia fisicamente che mentalmente. Sovraccaricare il calendario internazionale ha un sostanziale impatto negativo sul loro benessere e, in ultima analisi, sulle loro prestazioni sportive".
Dopo il ritorno in campo, si accentuerà il problema infortuni. "La frequenza e l'intensità delle partite, con sprint esplosivi e l'usura dei muscoli, possono produrre traumi e affaticamenti fino a 72 ore dopo le gare. La congestione del calendario è correlata al calo delle prestazioni e a un maggiore rischio di lesioni, mentre quando l'intervallo è di 5 o più giorni tra una partita e l'altra alza il livello dello spettacolo e diminuisce le probabilità di infortunio. Giocare due partite a settimana, con sole 72 o 96 ore di recupero, comporta rischi fisici elevati".
Due stagioni accavallate
E' esattamente lo scenario che si prefigura alla ripresa dei campionati nazionali d'Italia, Spagna e Inghilterra: la Germania, ricominciando prima e avendo un campionato a 18 squadre come la Bundesliga, ha la possibilità di "spalmare" di più le partite. Eppure gli infortuni fioccano lo stesso. L'anomalia della situazione attuale non era stata prevista nel dossier, che illustrava i benefici delle vacanze per il recupero dopo una stagione intensa. Tuttavia anche la Fifpro avvertiva il rischio di pause troppo lunghe: "Questi periodi di stacco servono per rigenerarsi, ma non dovrebbero mai essere di eccessiva durata, perché possono influire sulle prestazioni dei giocatori e sulle loro capacità fisiologiche, ad esempio su resistenza o forza. Gli studi clinici attestano che in bassa stagione debba essere osservato un minimo di 4-6 settimane di riposo completo e a metà stagione di 2 settimane". I 2 mesi abbondanti di pausa per pandemia, dunque, non hanno certamente giovato ai giocatori. I quali, già a fine 2018, risposero senza mascherare la preoccupazione, attraverso un campione di 543 intervistati, proprio alle domande sul calendario internazionale: l'85% si diceva favorevole a una pausa stagionale di 14 giorni, il 64% giudicava insufficiente la pausa tra una partita e l'altra, il 50% dei calciatori più utilizzati riteneva di giocare troppo (tra le 50 e le 60 partite l'anno in media, col picco delle 78 partite di Heung-Min Son, al servizio del Tottenham e della Nazionale sudcoreana). "La moltiplicazione delle partite moltiplica lo stress fisico ed emotivo", rilevava Rui Patricio, portiere del Portogallo. Potrebbe sembrare un paradosso, visti i quasi tre mesi senza calcio. Invece è proprio ora, con tante partite concentrate in pochi mesi, e due stagioni così vicine da sovrapporsi quasi - il 2019-20 e il 2020-21 - che il problema diventa ancora più centrale.