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la Repubblica

In Emilia-Romagna falsa partenza per i test sierologici: pochi volontari

In regione saranno 12.155 le persone da testare attraverso gli esami del sangue. Ma pochi per ora rispondono

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A voler usare un eufemismo è stata una falsa partenza. Di certo, una corsa a ostacoli. Lunedì è cominciata anche in Emilia-Romagna l'indagine sierologica che, in tutta Italia, studierà quanto il coronavirus è diffuso nella popolazione. In regione saranno 12.155 le persone da testare attraverso gli esami del sangue. Questa grossa mole di lavoro è affidata alla preziosa macchina della Croce Rossa. L'altro ieri, i cittadini che da Piacenza a Rimini hanno risposto sono stati 80. Solo il 35% di loro ha detto di sì, 18 no. Gli altri sono ancora in dubbio oppure non interessati.

Le difficoltà dell'indagine

Giuseppe Schirripa, direttore sanitario della Croce Rossa regionale, spiega quali sono stati finora gli ostacoli: "Il numero unico nazionale attraverso il quale chiamiamo le persone è lo 06.5510. Gli utenti lo vedono e pensano che sia qualcuno che fa vendite al telefono...". Non finisce qui: "Lunedì ci sono stati dei problemi tecnici sulla piattaforma del ministero - continua Schirripa - abbiamo chiesto di estendere l'orario delle chiamate dalle 17.30 alle 19.30 perché molte persone sono al lavoro e non possono rispondere prima. Alcuni numeri di telefono non sono aggiornati, e dobbiamo andare a caccia pure di quelli".

Altri problemi sorgono con le persone che si riescono finalmente a contattare: per esempio, se un cittadino dell'Emilia- Romagna accetta di partecipare all'indagine sierologica, fino all'altro ieri non era ancora possibile prenotare l'appuntamento in ambulatorio per il prelievo. Ieri la Croce Rossa ha sospeso le chiamate in attesa di definire questa situazione.

Gli operatori coinvolti in regione sono 52, anche se non tutti a tempo pieno. Lunedì hanno cercato di contattare 200 persone. Per ognuna è necessario impiegare almeno un quarto d'ora per presentarsi, raccontare il progetto, sottoporre il questionario. Al momento conosciamo le risposte di ottanta persone. "Nel 35% dei casi gli utenti hanno accettato. Alcuni hanno detto di non essere interessati, altri li dovremo richiamare. C'è anche un altro aspetto: quando contattiamo i minori, accanto a loro deve esserci un tutore. Ma ci siamo imbattuti anche in casi nei quali un genitore rispondeva che voleva confrontarsi con il compagno". La strada è in salita ma Schirripa assicura: "Appena ci mettono tutto a posto, si vola".

Il caso dei certificati medici

Sui sierologici c'è un altro problema. Che parte da questo esempio concreto: un lavoratore risulta positivo al test, la sanità pubblica gli dice che deve stare in isolamento in attesa del tampone, per capire se è infetto oppure no. Nel frattempo si trova in una situazione di limbo senza un certificato di malattia in tasca. Perché, almeno in teoria, malato ancora non è. Morale: in questo periodo, più o meno lungo, deve usare le ferie per stare a casa. È il cortocircuito sollevato dal consigliere regionale Marco Lisei (Fdi), secondo cui molti dipendenti delle aziende hanno disdetto le prenotazioni o hanno rinunciato a fare gli esami del sangue per non bruciare giorni liberi. Su questo punto, l'assessore alla Salute Raffaele Donini ha chiesto chiarimenti al ministero e all'Istituto superiore di Sanità.


Donini sprona comunque le Ausl a fare i tamponi entro 48 ore. A sentire gli esperti, uscire da questa impasse è semplice. Se un cittadino è positivo al test, deve stare in isolamento e dunque ha diritto a un certificato da parte del medico di base, che giustifica l'assenza dal lavoro per ragioni di salute pubblica. Fausto Francia, ex direttore del dipartimento di Sanità pubblica, spiega: "Vista la gravità del momento, penso che un medico sia più che giustificato a fare un certificato" . Fabio Vespa, esponente regionale della Fimmg (la federazione dei medici di famiglia) non è d'accordo: "Non siamo autorizzati a dargli la malattia, perché la conferma arriva dal tampone, come esplicitamente previsto dalla delibera regionale. Quella persona non è malata, ha sviluppato gli anticorpi. Deve stare a casa? Per quanto tempo? Queste cose devono dircele".